Marcia Perugia-Assisi: “Tagliare le spese militari non i servizi sociali”


Redattore Sociale


Il 25 settembre la cinquantesima edizione. Il coordinatore Lotti: “Siamo la storia migliore di questo paese”. Natale (Fnsi): “Mi chiedo se i 4 mila giovani che si incontreranno lì nei due giorni precedenti riusciremo a farli diventare notizia”.


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Marcia Perugia-Assisi: “Tagliare le spese militari non i servizi sociali”

Tagliare le spese militari e non i servizi sociali per affrontare la crisi. E’ il messaggio che arriva dalla presentazione nella sede Fnsi della Marcia per la pace Perugia – Assisi, giunta a mezzo secolo di vita. “Sono 50 anni nei 150 anni dell’unità d’Italia, siamo la storia migliore di questo paese” ha dichiarato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace. “Sarà impossibile rispondere alla crisi se non ridefiniamo le relazioni con gli altri che vivono nel nostro paese e con gli altri popoli –ha continuato – prendiamo atto che l’Italia non è più attore della politica internazionale, la vicenda libica è emblematica per il modo in cui prima e dopo la guerra abbiamo agito con l’altra sponda e risposto alla primavera araba”. La presentazione nella giornata Onu per la pace, avviene mentre “L’Italia è in guerra in Libia e in Afghanistan”.
“I nostri obiettivi concreti sono il tema del disarmo – ha detto Mauro Valpiana del Movimento Non violento – la manovra si deve affrontare con il taglio delle spese militari e dei miliardi usati per costruire caccia bombardieri, ma serve anche un disarmo interiore per fare crollare i muri nella nostra testa”. Anche Luciano Della Vecchia, assessore ai Trasporti della provincia di Perugia ha ribadito il messaggio: “Non è possibile tagliare i servizi di trasporto per i disabili e continuare a fabbricare caccia bombardieri”.

Il presidente del sindacato dei giornalisti, Roberto Natale, ha rilanciato il tema dei bavagli e dell’autocensura. “Condivido la preoccupazione per il modo in cui i giornalisti seguiranno la marcia – ha detto – mi chiedo se il set di Perugia – Assisi sarà come quello di Montecitorio, contando quanti segretari di partito partecipano e se i 4mila giovani che si incontreranno lì nei due giorni precedenti riusciremo a farli diventare notizia”. Il presidente Fnsi ha poi espresso sconcerto per l’assenza del tema delle spese militari sui giornali, “un tema assente dal dibattito pubblico nonostante l’insistenza della scoietà civie sulla necessità di tagli”.  Anche Libera ha aderito alla manifestazione. In sua rappresentanza, Tonio Dell’Olio, ha ricordato i legami tra guerre, mafie internazionali e crisi economica. “120 – 150 miliardi l’anno è il fatturato delle mafie secondo la commissione parlamentare antimafia – ha sottolineato –  60 miliardi l’anno si perdono nella corruzione secondo la Corte dei Conti, bisogna aggredire la crisi partendo da qui. Siamo reduci dalla prima visita di una delegazione pacifista in Afghanistan, il 90% dell’oppio del narcotraffico proviene da quel paese che è presidiato dalle forze militari internazionali e con la guerra c’è stato un aumento esponenziale della produzione per finanziare i talebani e i signori della guerra”.

Fonte: Redazione Sociale

22 settembre 2011

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Marcon: ”La marcia Perugia-Assisi è diventata troppo ecumenica”

Fresco di stampa il volume "Fare pace" del portavoce della campagna "Sbilanciamoci!". Una analisi delle politiche pacifiste dal dopoguerra ad oggi e un diario dalle zone calde del pianeta.

ROMA – “Sono tempi difficili, il mondo non è attraversato da pacificazione e disarmo, ma da azioni dei governi ispirate alla realpolitik, non certo alla pace. Abbiamo visto il Maghreb, con la sua nuova stagione di liberazione, ma in altre aree permangono spinte forti verso la guerra. A 10 anni dall’intervento in Afganistan, quella è ancora una guerra che produce morte; l’Iraq è un paese aperto a grossi rischi; e in Medio Oriente, anche se c’è stato il recente riconoscimento da parte degli Stati Uniti dello Stato palestinese, il conflitto continua. E’ presente una politica, a livello planetario, in cui la guerra è utilizzata come strumento di politica internazionale.”. L’analisi è di Giulio Marcon, autore del libro ‘Fare pace. Jugoslavia, Iraq, Medio Oriente: culture politiche e pratiche del pacfisimo dopo il 1989’ fresco di stampa per la collana I Quaderni delle Edizioni dell’Asino. Fino al 1992 segretario della branca italiana del Servizio civile internazionale, poi portavoce dell’Associazione per la pace e presidente del Consorzio italiano di solidarietà, Marcon attualmente è portavoce della campagna Sbilanciamoci! e membro dell’associazione di promozione sociale Lunaria, e ha al suo attivo numerosi saggi sui temi della pace e della risoluzione dei conflitti internazionali. In ‘Fare pace’ analizza le culture pacifiste del secondo dopoguerra, da prima degli anni Ottanta alla temperie attuale passando per l’11 settembre: emergono le peculiarità di diverse e spesso convergenti politiche pacifiste. La seconda parte del volume è dedicata a una sorta di diario: vi si raccolgono reportage, racconti, impressioni su alcuni dei teatri di guerra o di emergenza umanitaria degli ultimi vent’anni, dalla caduta del muro di Berlino fino a oggi, che l’autore ha conosciuto in prima persona per via del suo impegno. Racconti di vicende concrete, drammatiche, “messe a continuo confronto – spiega l’autore – con le idee, le convinzioni e le proposte che il pacifismo e l’intervento umanitario hanno sedimentato in questi anni, con contraddizioni, dilemmi,conflitti etici e politici”. Racconti, anche, in cui si stagliano,  nitide, figure che hanno fatto la storia del movimento per la pace essendone spesso i fari illuminanti come Alex Langer e don Tonino Bello.
 
Marcon, dopo la grande mobilitazione internazionale del 15 febbraio 2003 il New York Times definì la società civile ‘la seconda superpotenza mondiale’. Molte cose sono cambiate da allora?
In questi anni sono sorte nuove organizzazioni in tutto il mondo, grazie anche al ruolo dei media sono cresciute la cultura  e la sensibilità su temi di interesse generale. Quello che è successo negli ultimi anni è una grande contraddizione: c’è stata una crescita del movimento globale, da Porto Alegre in poi, la volontà di lottare contro le ideologie neoliberiste che ci hanno portato alla crisi in cui siamo. Dall’altra parte, è cresciuta anche la tendenza di alcune organizzazioni a essere dipendenti dal mercato, nella gestione degli aiuti umanitari legandosi a interessi politici. Insomma luci e ombre, con una parte delle realtà organizzate che si sono fatte irretire dalle sirene della politica.
A livello italiano, nella società si è diffusa una certa consapevolezza sulle cose che riguardano il destino di tutti, ma a fronte di questo c’è l’incapacità di farsi udire, l’impermeabilità della politica. Sia destra che sinistra hanno aumentato la spesa militare: la classe politica, i partiti tutti, sono indietro su questo
 
A suo avviso qual è il limite del movimento per la pace?
Uno dei limiti è che è stato a lungo un movimento contro le guerre. Così, quando non c’erano queste in atto contro cui scagliarsi, si è fatta fatica a essere interlocutori e a costruire politiche e pratiche di pace in tempo di pace, come il disarmo, etc.
 
Nel suo quaderno tocca la questione del movimento della pace come soggetto politico e anche accenna alla diversità di percorso con gli ambientalisti, ad esempio, che sono confluiti in un partito.
Una parte del movimento è confluito nei verdi (così in Germania). Personalmente giudicherei   negativamente la scelta di diventare un partito, per il popolo della pace. Invece penso che debba essere un soggetto politico: un soggetto che ha la forza di essere un interlocutore al pari dei partiti politici.
 
Se  questa forza non c’è, qual è  la causa?
Se questa forza non si ha, la causa è nella frammentarietà del pacifismo italiano: questo genera incapacità di pensarsi come soggetto politico e di influire sulle scelte. Questa capacità, a ben guardare, si manifesta soltanto quando c’è una guerra in atto, una emergenza, quando cresce anche la capacità di mobilitazione. Altrimenti, ci sono frammentarietà e subalternità alla politica tradizionale. C’è sempre l’idea del pacifismo come soggetto che denuncia, chiede, fa un po’ di lobby, ma non si pensa al pacifismo come soggetto che ha pari dignità rispetto ai politici. E questo è fonte di grande debolezza.
 
Domenica si marcerà per la 19ma volta da Perugia ad Assisi, 50 anni dopo la prima marcia di Aldo Capitini. Lei è stato nel comitato organizzatore. Come considera oggi questa esperienza?
Penso che la Perugia-Assisi è patrimonio di tutti coloro che anelano alla pace, non può essere ricollegata a un soggetto in particolare. Così, con questo spirito la organizzò Capitini. La cosa più importante per dare valore a questa esperienza è non rassegnarsi alla ritualità della marcia. Senza l’obbligo di una periodicità predefinita, l’importante è che sia occasione per dare voce alla richiesta di pace che c’è. Se se ne rinnova la straordinarietà, la forza non sta nel numero di persone ma nella proposta politica che interpreta, la quale deve esprimersi in un messaggio forte e chiaro. Forse nel tempo questo si è un po’ scolorito, la marcia è diventata troppo ecumenica. Ecco, i rischi maggiori sono la ritualità e l’ecumenismo. Il rischio che vi partecipi anche chi, magari, ha appena aumentato lo spese militari. E’ importante la costruzione collettiva, di più soggetti, credo sia importante recuperare la collegialità e la democrazia nell’organizzazione e promozione della marcia.

Fonte: Redattore Sociale

22 settembre 2011

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