Luigi Bettazzi scrive una lettera aperta al Presidente Romano Prodi


La redazione


Monsignor Luigi Bettazzi scrive a Prodi "In un tempo in cui il degrado della vita politica è evidente, in cui troppi rincorrono interessi e privilegi particolari, in cui gli stessi grandi ideali, proposti e difesi dalla Chiesa, vengono talora strumentalizzati anche da chi nella sua vita personale ha sempre mostrato di non tenerne un gran conto".


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Luigi Bettazzi scrive una lettera aperta al Presidente Romano Prodi

Onorevole Presidente,

mi permetta riprendere con Lei un uso che ebbi una trentina di anni fa, quello delle "Lettere aperte".
Nel 1976 il Presidente del Consiglio, democristiano, per giustificare il suo Governo dall'aver intascato "tangenti" per favorire l'acquisto di aeroplani da una industria americana (il fatto fu così pubblico che cadde il Presidente e fu cambiato il Segretario del Partito), era uscito nell'affermazione che sarebbe stato ipocrita far finta di ignorare che "in politica fanno tutti così!" Mi chiedevo allora che senso avesse dichiararsi cristiani in politica, ricevendo magari consensi e appoggi ufficiali dalla Chiesa (come allora succedeva), se poi ci si giustificava col fatto che "in politica fanno tutti così!". Iniziai a scrivere "lettere aperte" ai politici (il mio compito all'interno di Pax Christi poteva in qualche modo giustificarlo), rivolgendomi allora all'on. Zaccagnini, nuovo Segretario della DC, per chiedergli che si impegnasse in quest'opera di trasparenza e di onestà nella vita politica. Mi appellavo a un documento pubblicato allora dalla CEI che richiamava il dovere della "coerenza, della fedeltà e di un responsabile discernimento cristiano", precisando che "questo si esprime non solo nella difesa dei grandi valori, come ad esempio quello della vita, della famiglia, della religiosità, ma innanzitutto nello sforzo sincero e operoso per realizzare una società più giusta e più solidale, in cui, fra l'altro, i valori stessi della vita, della famiglia e della religiosità possano attuarsi concretamente e universalmente, non limitandosi a dichiarazioni superficiali o a privilegi settoriali".
Oggi lo faccio con Lei, non tanto per la comune derivazione bolognese, tanto meno per entrare in giudizi o scelte di carattere strettamente politico, lo faccio in un tempo in cui il degrado della vita politica è evidente, in cui troppi rincorrono interessi e privilegi particolari, in cui gli stessi grandi ideali, proposti e difesi dalla Chiesa, vengono talora strumentalizzati anche da chi nella sua vita personale ha sempre mostrato di non tenerne un gran conto.
Sento di doverLa ringraziare anche come vescovo, benché emerito, per l'esempio che Ella ha dato di stile e di attenzione alla gente più in difficoltà. L'ultima Settimana Sociale dei cattolici, fra l'altro egregiamente diretta dal mio successore a Ivrea, ha puntualizzato come fine di una retta politica sia il "bene comune", cioè la creazione di quell'ambiente in cui i cittadini, le famiglie, le aggregazioni – ma tutti i cittadini, tutte le famiglie, tutte le aggregazioni (non solo chi è già più fortunato o più amico) – possano perseguire una vita operosa e fiduciosa.
Nei giorni scorsi qui, in Piemonte, in un incontro con i politici di ogni provenienza, il Cardinale Arcivescovo di Torino e lo stesso Vescovo di Ivrea auspicavano "una nuova politica imperniata sui valori, non la politica-spettacolo… o la politica come semplice somma degli interessi, piccoli o grandi, di lobby e corporazioni… Un 'elogio della politica alta', un appello a tutti, cattolici e laici, per un nuovo servizio alla società, nella linea della promozione del bene comune, del dialogo, secondo le indicazioni della Costituzione conciliare 'Gaudium et spes'" .
Dovremmo tenere più presente questa politica alta noi cristiani, e la CEI stessa deve continuare a richiamarcela con insistenza e precisione, evitando tutti, più che mai oggi, anche solo l'apparenza di compromissioni, di silenzi significativi, di comportamenti interessati. Come è stato autorevolmente ricordato, forse il vero modo di "dare a Dio quello che è di Dio", in questo campo, è "dare a Cesare quel che è di Cesare", cioè serietà, onestà, solidarietà.
Non sta a me giudicare quello che il Suo Governo ha fatto; ma ritengo che gli intenti che L'hanno guidata, la serietà, la coerenza, il dialogo, la pazienza, con cui ha agito, pur fra mille difficoltà, anche nelle ultime ore, costituiscano un forte esempio dello stile con cui tutti, proprio a cominciare dai cristiani, dovrebbero porsi al servizio del "bene comune", e di come sia possibile, quindi perseguibile, una "politica alta"

Grazie, Presidente. E auguri.

Albiano di Ivrea, 27 gennaio 2007

Luigi Bettazzi
Vescovo emerito di Ivrea

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