Libia, un milione di persone in emergenza umanitaria


La redazione


Gli sfollati interni sono 340mila. 180mila libici hanno lasciato le loro case. Unhcr: «Situazione drammatica, serve un cambio di passo». Oim: «Mille persone riportate indietro nei centri di detenzione, vanno chiusi»


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Si fa sempre più incerta la situazione in Libia, dopo che il generale Khalifa Haftar ha deciso di non firmare il 13 gennaio, a Mosca, l’accordo di cessate il fuoco (già firmato dal suo rivale Fayez Al Serraj).  Haftar «ha accolto positivamente» l’intesa «ma prima di firmare ha preso due giorni per discutere il documento con i leader delle tribù che sostengono l’esercito nazionale libico», ha fatto sapere il ministero della Difesa russo, ripreso dall’agenzia Interfax. Intanto il primo ministro turco Erdogan fa sapere che se «riprenderà gli attacchi gli daremo una lezione». Il generale Haftar è infatti deciso ad entrare a Tripoli, dove continuano gli scontri.

Una situazione sempre più difficile, che mette a rischio la vita dei cittadini libici e dei tanti migranti presenti nel paese. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) solo nelle prime due settimane del 2020 sono almeno 953 i migranti (tra cui 136 donne e 85 bambini) riportati in Libia dalla Guardia costiera. La maggior parte sono sbarcati a Tripoli e tutti sono stati portati nei centri di detenzione. Inoltre, sono tante le persone che continuano a scappare:  le navi di ricerca e salvataggio delle ong negli ultimi giorni hanno salvato 237 persone. Tra loro anche famiglie di libici in fuga: almeno 17 sono stati salvati dall’ong tedesca Sea Watch, erano tutte su un unico barchino, 10 uomini e 7 donne, tra cui 9 minori.

«In Libia c’è una guerra, una situazione drammatica che negli ultimi mesi ha visto un’accelerazione con l’intensificarsi delle violenze e quindi con vittime, moltissime civili – spiega la portavoce di Unhcr Carlotta Sami -.  Almeno 1 milione di persone ha bisogno di assistenza umanitaria. Da aprile ad oggi oltre 180mila libici sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Gli sfollati interni sono ormai più di 340mila. Unhcr non riesce ad avere accesso a tutte le zone della Libia. Ad esempio il sud del Paese e l’area di Bengasi sono irraggiungibili. Anche la via terrestre di accesso alla Tunisia è impraticabile».

Il conflitto armato «rende la situazione quotidiana estremamente volatile e questo complica enormemente  la costruzione e la messa a disposizione di soluzioni per i rifugiati e i richiedenti asilo presenti in Libia – aggiunge Sami -: registriamo come anche quando le autorità locali sono disposte a discutere della protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, non riusciamo poi a concretizzare perché esse stesse sono principalmente concentrate sulle problematiche relative al conflitto. Va detto che nonostante il conflitto le persone ancora arrivano dalle frontiere meridionali». Per questo Unhcr chiede un un cambio di passo e un sostegno maggiore ai Paesi di primo asilo come Etiopia, Sudan, Ciad, per offrire condizioni di accoglienza e lavoro sostenibili.

«Chi poi cerca di attraversare il Mediterraneo viene nella maggior parte dei casi intercettato dalla Guardia costiera libica, centinaia già nei primi mesi dell’anno. A questo proposito si è venuta a definire una nuova dinamica: «Il conflitto armato ha indebolito il coordinamento tra Guardia costiera e ministero dell’Interno libici nelle procedure di sbarco – aggiunge la portavoce di Unhcr -. Di conseguenza, non tutti i migranti sbarcati e i richiedenti asilo vengono oggi sistematicamente detenuti. Stimiamo che circa il 30% venga liberato al momento dello sbarco. Questo è positivo di per sé ma sicuramente l’Onu e i partner devono intensificare gli sforzi per fornire assistenza a queste persone. E resta il fatto che la Libia non è un porto sicuro».

In tutto i richiedenti asilo rinchiusi nei centri di detenzione gestiti dal governo libico sono circa 2.500. Il conflitto armato ha interrotto la fornitura di servizi essenziali da parte delle autorità, compreso il cibo. «Per questo motivo alcuni centri sono stati aperti per far uscire le persone ma da settimane assistiamo a una dinamica terribile: in tanti pagano per rimanere o entrare nelle carceri, convinti di poter essere selezionati da noi per le evacuazioni umanitarie. È un tragico equivoco: informati male e disperati pensano che questo sia l’unico modo per arrivare in Europa – spiega ancora Sami -. La realtà è diversa e il terribile dilemma che viviamo ogni giorno, lavorando in Libia, è dato dal fatto che non ci sono posti per tutti nei Paesi sicuri e noi siamo costretti a scegliere tra i casi più vulnerabili. I canali legali e sicuri sono troppi pochi». Unhcr ha chiesto ai Paesi europei la disponibilità a ricollocamenti per almeno 5mila persone ma per ora le offerte di accoglienza beneficeranno meno della metà delle persone.

«Dobbiamo essere presenti perché ce lo impone il nostro mandato umanitario e dobbiamo dialogare con tutti gli attori in campo. Dobbiamo riequilibrare gli aiuti indirizzati ai  rifugiati in detenzione, che sono comunque del 50 per cento rispetto ad alcuni mesi fa, e a quelli che vivono nelle città, nelle strade, senza riparo – conclude Sami -. Sono almeno 43mila le persone che spesso si trovano in una situazione umanitaria disastrosa e sono costretti ad adottare dei meccanismi di sopravvivenza molto danno si come il lavoro minorile, il matrimonio tra minorenni, la prostituzione e certamente i viaggi mortali attraverso il Mediterraneo. Vogliamo incrementare l’assistenza umanitaria per questi “rifugiati urbani” insieme ai nostri partner, attualmente riusciamo a fornire dei pacchetti di aiuto a circa 850 famiglie sul territorio di Tripoli, e di aumentare le soluzioni legali e sicure al di fuori della Libia».

Secondo le testimonianze raccolte dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) tra i migranti nei punti di sbarco in Libia l’escalation delle ostilità all’interno e intorno alla Capitale e il deterioramento della situazione umanitaria sono le ragioni principali di questo aumento delle partenze in questi ultimi giorni. Nello stesso periodo dell’anno scorso, 23 corpi sono stati recuperati dalla guardia costiera. «L’attuale improvviso aumento delle partenze è particolarmente allarmante, data la capacità molto limitata di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo», sottolinea l’Oim, che chiede lo smantellamento del sistema di detenzione e il rilascio dei migranti. «Mentre le nostre operazioni e programmi continuano in tutto il paese, siamo stati ampiamente colpiti – afferma il capo della missione Iom Libia Federico Soda -. Soprattutto per quanto riguarda la circolazione sicura dei migranti verso i punti di transito e gli aeroporti. È necessario un livello minimo di sicurezza per essere in grado di assistere in sicurezza le 500 persone programmate per il ritorno a casa nei prossimi giorni».

15 gennaio 2020

Roma Sette

 

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