Libia. È emergenza umanitaria


NEAR EAST NEWS AGENCY


Le Nazioni Unite hanno chiamato oggi a Ginevra i due governi rivali, ma gli islamisti rimandano la partecipazione. Oltre mezzo milione di rifugiati, ospedali e infrastrutture al collasso.


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L’ennesimo attacco suicida di ieri contro un checkpoint militare a ovest di Bengasi ha ucciso tre soldati libici e ne ha feriti altri quattro. Per ora nessuna rivendicazione, ma il governo di al-Thinni, riconosciuto come il solo legittimo dalla comunità internazionale, punta il dito contro le forze islamiste che hanno assunto da mesi il controllo della principale città della Cirenaica.

Alle violenze interne che scuotono la Libia dalla caduta del colonnello Gheddafi per mano della Nato, nel 2011, si aggiunge una crisi umanitaria ogni giorno più grave. Il crollo delle vendite di petrolio e gli scontri tra islamisti e laici sta provocando il collasso dei servizi pubblici. L’allarme è giunto dalle Nazioni Unite: il confronto politico e militare tra i due governi rivali, quello islamista a Tripoli e quello laico rifugiatosi a Tobruk, impedisce il controllo del paese.

Sarebbero oltre 450mila i rifugiati interni, 100mila quelli fuggiti all’estero, su una popolazione totale che supera di poco i sei milioni di persone. Gli ospedali sono prossimi al collasso, mancano medicinali e strumentazioni mediche, manca il carburante e acqua e elettricità sono sempre più spesso tagliati. Il prezzo dei beni indispensabili cresce di giorno in giorno, insieme al tasso di criminalità. “Con la caduta della produzione e del prezzo del petrolio, lo Stato non sarà a breve più in grado di pagare gli stipendi, i benefici fiscali e i costi per ospedali e compagnie idriche e elettriche”, spiega Antoine Grand, capo della delegazione libica della Croce Rossa.

Per porre fine alla faida interna, provocata dall’intervento occidentale che ha spezzato i fragili equilibri etnici e tribali che Gheddafi aveva saputo gestire per decenni e rafforzata dall’armamento di milizie che mai hanno abbandonato le armi, l’Onu tenta una nuova mediazione dopo i fallimenti dei mesi scorsi. Oggi parte a Ginevra un nuovo round di negoziati tra le fazioni rivali, sotto la supervisione di Bernandino Leon, inviato speciale delle Nazioni Unite.

E se una delegazione del governo di Tobruk è già partita alla volta della Svizzera, il nuovo tentativo parte già col piede sbagliato: “Non rigettiamo il dialogo – ha detto ieri Omar Hmaidan, portavoce del governo islamista di Tripoli – Ma crediamo che l’Onu abbia troppa fretta di determinare la data del dialogo e i suoi meccanismi. Abbiamo deciso di posporre il voto sulla nostra partecipazione al negoziato alla prossima domenica”. Difficile dire, vista l’assenza di una delle parti in causa, cosa possa uscire dal primo incontro di oggi.

L’obiettivo della comunità internazionale, dicono fonti Ue e Onu, è la creazione di un governo di unità nazionale che porti fuori la Libia dalla crisi e eviti che la guerra civile possa provocare conseguenze nel resto del Nord Africa. Ma sul campo le differenze sono abissali: da una parte il governo al-Thinni, anti-islamista, alleato informale dell’ex generale Haftar che a Bengasi ha lanciato la sua personale operazione contro i gruppi islamisti; dall’altra il governo di Tripoli, fondato dalle forze islamiste di “Libya Dawn”, che – seppur neghino rapporti con gruppi estremisti vicini all’Isis – godono indirettamente della loro presenza.

A preoccupare è l’infiltrazione di gruppi che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico di al-Baghdadi e che sono già operativi in Libia. Pochi giorni fa il gruppo battezzatosi “Soldati dello Stato Islamico”  ha rapito 21 cristiani egiziani, rivendicando l’azione lunedì e definendoli “crociati”. Lo stesso gruppo aveva rivendicato a dicembre l’attacco contro un edificio ormai vuoto del Ministero degli Esteri a Tripoli. Ad essere attivi sono almeno altri due gruppi affiliati all’Isis, uno a Derna – che ha dichiarato la nascita del califfato nella città di frontiera – e un altro nella regione sud del Fezzan, responsabile dell’uccisione di una decina di soldati.

Azioni che sono la migliore delle giustificazioni all’intervento esterno di poteri regionali interessati a realizzare la propria agenda politica, in primis l’Egitto e la crociata anti-islamista del presidente al-Sisi: ai bombardamenti egiziani su Bengasi è seguito il via libera all’armamento e l’addestramento delle forze governative di Tobruk.

Fonte:  http://nena-news.it

14 gennaio 2015

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