Libia, così Guardia Costiera e milizie lucrano sul traffico di uomini


Avvenire


Il dossier Onu rivela nomi e incarichi nel business dei migranti


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Com’è possibile movimentare ogni giorno migliaia di persone, percorrere rotte desertiche, attraversare confini polverosi, raccogliere e trasferire denaro, fornire carburante alle centinaia di mezzi di trasporto, ottenere i lasciapassare, governare i centri di raccolta e poi gestire la flotta per i viaggi via mare – per molti l’ultima tappa in ogni senso – e tutto questo senza dare nell’occhio?

«Una filiera del genere non può passare inosservata. E non può prosperare senza la complicità di chi oggi afferma di voler porre fine al traffico di migranti». L’investigatore Onu che parla sotto anonimato, si fa precedere da un rapporto di 299 pagine inviato al Consiglio di sicurezza nelle scorse settimane.

Un dossier che le cancellerie conoscono, a cominciare dall’Italia che quest’anno è membro non permanente proprio dell’organo di vertice del Palazzo di Vetro. Nel faldone ci sono decine di nomi che scottano. Come quello di Fathi al-Far, comandante della brigata al-Nasr, alleato forte del premier Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale. L’ex colonnello dell’esercito di Gheddafi «ha aperto un centro di detenzione a Zawiyah», sulla costa occidentale, a metà strada tra Tripoli e Zuara. Il gruppo di investigatori «ha ricevuto informazioni secondo cui il centro è usato per ‘vendere’ i migranti ai contrabbandieri». Sotto gli occhi dei fedelissimi di Sarraj.

Non è un caso che sempre a Zawiyah, il capo della Libyan Petroleum Facilities Guard, milizia che dovrebbe proteggere i siti di estrazione dell’oro nero, «risulta coinvolto nell’approvvigionamento di carburante per i trafficanti ». È Mohamed Koshlaf che fattura milioni di dollari stipando in alcune raffinerie migranti, all’occorrenza costretti ai lavori forzati nei pozzi, da rivendere poi agli scafisti. Suo fratello, Walid Koshlaf, si occupa degli aspetti finanziari. Nei loro affari i Koshlaf possono contare su Abd al-Rahman Milad (alias Bija), non un personaggio qualunque, ma il capo della Guardia costiera di Zawiyah, ritenuto «un importante collaboratore di Koshlaf nel settore del combustibile». Si tratta di uno degli uomini che con le sue motovedette dovrebbe occuparsi del contrasto agli scafisti e che in questi giorni ha ricevuto l’ordine di tenere alla larga le Ong dalle acque libiche, riappropriandosi dell’area di ricerca e soccorso che fu stabilita all’epoca di Gheddafi e che si estende per quasi dieci volte rispetto ai 22 chilometri delle acque territoriali. Abbastanza per non avere scocciatori intorno. Suoi militari sono sospettati dall’Onu di avere sparato il 17 agosto 2016, in acque internazionali, contro una nave di Medici senza frontiere.

Per la verità gli alleati di Sarraj talvolta sono entrati in conflitto con i trafficanti. Non per mettere in salvo le carovane di profughi. Nel 2016 e nel 2017 si sono ripetuti violenti scontri a Zawiya, dove «gruppi concorrenti catturano regolarmente i migranti per sottrarli ai loro rivali, spesso provocando morte e lesioni gravi ai numerosi stranieri». Lo stesso starebbe accadendo in mare, con i ‘soccorsi’ della Guardia costiera libica, che in realtà avrebbero lo scopo di «rassicurare l’opinione pubblica internazionale – spiega l’investigatore – e nello stesso momento sottrarre migranti alla concorrenza, riportandoli nei centri di detenzione dove verranno rivenduti ad altri scafisti».

Il sito di imbarco principale «sembra essere Talil Beach – si legge nel documento –, nel complesso turistico di Sabrata», un’area fortemente controllata dal governo riconosciuto. Uno degli episodi più controversi risale alla fine del 2016, quando mezzi europei dell’operazione Eunavfor Med, impegnati in un pattugliamento anti-scafisti abbordarono il peschereccio libico ‘Luffy’. L’equipaggio disse che le persone a bordo non erano migranti, ma miliziani fedeli a Serraj, perciò furono lasciati andare. Sotto coperta c’erano diverse armi leggere e alcuni mortai. L’inchiesta Onu ha accertato che la ‘Luffy’ è di proprietà di un ufficiale della Guardia costiera e membro del Consiglio militare di Misurata, alleato di Serraj.

Altre conferme potrebbero arrivare da indagini finanziarie in Europa. Il team di investigatori sta esaminando «una serie di transazioni bancarie da parenti di migranti residenti in Svezia. Questi depositi vengono effettuati su conti svedesi, ma i trasferimenti ai contrabbandieri avvengono attraverso il sistema di hawala». In altre parole, i fondi non vengono scambiati con strumenti bancari, ma i ‘bonifici’ sono basati unicamente sulla parola e in seguito saldati, eludendo la tracciabilità, attraverso compensazioni in banche del «Sudan, Dubai, Emirati Arabi Uniti, dove il denaro viene poi riciclato».

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