Lesbo, in fiamme il campo profughi


il Manifesto


L’incendio nella notte distrugge le baracche dove vivevano in condizioni disumane quasi 13 mila richiedenti asilo


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«Ho sentito il grido di disperazione dei rifugiati» raccontava ai primi di agosto Armin Laschet, candidato alla presidenza della Cdu, il partito della cancelliera Angela Merkel, appena tornato da un viaggio al campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo.

Tra martedì e mercoledì notte quel grido ha preso la forma di un incendio che ha devastato il campo profughi più grande d’Europa. I vigili del fuoco hanno combattuto a lungo per spegnere le fiamme e alla fine quello che si è presentato agli occhi di tutti è stato uno scenario di totale distruzione.

Per fortuna non si registrano né vittime né feriti, ma tutto il resto è finito in cenere. Bruciate le tende e le baracche all’interno della quali sopravvivevano a stento, secondo i dati aggiornati al 7 settembre dal governo greco, 12.767 richiedenti asilo (la capienza massima del campo è di 2.967 posti). Bruciato il Ric, il Centro di registrazione e identificazione dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati. E sono finiti in cenere anche i locali gestiti all’esterno del campo da una ong internazionale e adibiti alla quarantena delle 35 perone risultate positive al Covid. «Il paradosso è che è andato distrutto anche il container ospedale donato dal governo olandese e mai utilizzato» racconta Andrea Contenta, responsabile diritti umani di Medici senza frontiere in Grecia.

Il risultato è che almeno 6.000 persone non hanno più nemmeno quel misero rifugio sul quale potevano contare fino a ieri, mentre alcune migliaia di migranti sarebbero riuscite a fuggire nonostante il cordone di poliziotti in assetto antisommossa subito schierato dal governo di destra guidato da Kyriakos Mitsotakis intorno al campo.

«L’incendio è stato appiccato da alcuni richiedenti asilo come forma di protesta» per le misure imposte per contenere l’emergenza Covid, ha spiegato il ministro per l’Immigrazione Notis Mitarachi nonostante non ci siano prove certe della responsabilità dei migranti. «La combinazione di migrazione e pandemia in queste condizioni sta creando una situazione eccezionalmente impegnativa», ha poi ammesso Mitarachi.

Di sicuro al momento sembrano esserci solo due cose: la prima è che l’incendio sarebbe scoppiato in almeno tre punti diversi del campo, come hanno stabilito i vigili del fuoco che hanno anche raccontato di aver incontrato la resistenza di alcuni migranti agli sforzi per spegnere le fiamme. La seconda è che dietro quanto accaduto c’è l’esasperazione di migliaia di uomini, donne e bambini abbandonati da Atene. «Da tempo avevano chiesto al governo un piano organico per fronteggiare l’emergenza Covid ma non è mai stato fatto, e questi sono i risultati», spiega ancora Contenta.

Da quando la pandemia è arrivata in Grecia, i circa 70 mila richiedenti asilo presenti nel Paese sono tra coloro che hanno pagato il prezzo più alto non per numero di contagi ma per le continue limitazioni alla loro libertà di movimento. E a pagare più di tutti sono stati proprio i 27 mila che si trovano sulle isole dell’Egeo. Cominciato il 21 marzo, per i rifugiati il lockdown è stato infatti prorogato prima fino all’11 maggio, poi fino al 21, per essere in seguito allungato fino al 7 giugno e di nuovo fino al 19 luglio per finire con una nuova scadenza fissata per il 15 settembre prossimo.

Il tutto accompagnato da misure sempre più stringenti: «A partire da oggi i movimenti di coloro che si trovano nei campi delle isole sono drasticamente ridotti», annunciò a marzo Mitarachi. Per i migranti questo ha significato poter uscire dai campi solo «in piccoli gruppi» tra le 7 e le 19 e con solo una persona per famiglia presente nei gruppi. Inoltre i movimenti sui trasporti pubblici vengono regolati dalla polizia. Anche le ordinazioni di cibo e altri generi essenziali «quando possibile», vanno fatte attraverso il telefono.

Restrizioni che sono andate ad aggiungersi a una situazioni di sovraffollante già pesantissime specie a Moria dove quasi 13 mila persone possono avere l’acqua solo per 5-6 ore al giorno, dove in 160 devono dividersi lo stesso bagno e in 500 la stessa doccia.

«Le misure sempre più severe imposte ai migranti sulle isole si stanno trasformando in vere e proprie misure di detenzione de facto, del tutto inadeguate peraltro a contenere il diffondersi della pandemia», denunciava solo pochi giorni fa Oxfam. Mentre per Msf «il governo greco sta imponendo una quarantena sconsiderata e potenzialmente molto pericolosa per i migranti e richiedenti asilo del campo di Moria».

In serata il ministro dell’Interno Takis Theodorikaks ha annunciato che 3.500 profughi rimasti senza un tetto verranno trasferiti a bordo di un traghetto e di due navi militari, mentre altri 3.500 verranno trasferiti in aree non colpiti dalle fiamme o in centri reperiti dal governo. 400 minori non accompagnati verranno invece trasferiti nell’entroterra.

Carlo Lania
10 settembre 2020
Il Manifesto

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