Lavoratori stranieri: quanti sono, cosa fanno


Redattore Sociale


Sono circa 3 milioni, per lo più dipendenti (84,8%), lavorano soprattutto nei servizi (54,5%) e quasi tutti hanno impieghi non qualificati (73,4%). Guadagnano meno degli italiani (il 36,4% circa). Niente pubblico impiego senza cittadinanza.


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Lavoratori stranieri: quanti sono, cosa fanno

ROMA – Sono poco meno di 3 milioni i lavoratori immigrati occupati nel nostro Paese nel 2008: per la precisione, 2.796.000 secondo il Dossier Caritas/Migrantes 2009, un po’ di più secondo il rapporto annuale Inail che ne conta 3.266.000, comprendendo anche parasubordinati e artigiani.
Una popolazione numerosa e in aumento, dunque, che rappresenta la fetta più grande della popolazione immigrata nel nostro Paese, giunta nel 2008 a poco più di 4 milioni (4.330.000, contando anche le presenze regolari che non si sono ancora registrate). L’81,95 degli immigrati regolarmente presenti in Italia è quindi occupato, solo il 6% disoccupato: per le donne, le percentuali diventano rispettivamente 52,8% e 11,9%.
 
I settori che maggiormente assorbono i lavoratori stranieri sono i servizi (54,5%) e l’industria (33,6%), seguiti da agricoltura e pesca (7,7%). Per quanto riguarda l’inquadramento contrattuale, sempre secondo la Caritas/Migrantes, l’84,85 ha un contratto da dipendente, per lo più a tempo indeterminato, mentre il lavoro autonomo è prevalente solo nella comunità cinese (6,7%). Se dunque è ancora esiguo il numero di lavoratori stranieri (circa 187.500), aumentano i lavoratori atipici: 18.000 tra co.co.co e occasionali, 231.000 in formazione e lavoro, apprendistato, interinali o in somministrazione.
 
Fin qui, le cifre sembrano delineare una situazione di integrazione e stabilità. Ma ci sono altri dati che tracciano i contorni della discriminazione e della disparità. Uno per tutti: i livelli retributivi. Secondo i dati Inps, la retribuzione media nel 2004 per un iscritto straniero era di 10.042 euro l’anno, pari a meno di 900 euro al mese: ovvero, il 36,4% in meno rispetto alla media delle retribuzione dei dipendenti.
 
Inoltre, pur potendo vantare in molti casi titoli di studio alti, tre quarti degli immigrati svolgono la professione operaia o altri lavori non qualificati: il 73,4%, per la precisione, contro il 32,9% degli italiani.
 
Un discorso a parte meriterebbe il settore del pubblico impiego, dal quale la maggior parte degli immigrati è escluso a priori: per poter accedere ai concorsi pubblici, è infatti richiesta la cittadinanza italiana. Una disposizione che fa discutere, ma che fa leva su due testi normativi: il DPR 10/01/1957 n. 3 e il Dpcm n. 174 del 772/1994. La questione è stata recentemente risollevata, dopo la sentenza “rivoluzionaria” del Tribunale di Milano, che nel luglio scorso ha dato ragione al cittadini marocchino Mohamed Hailoua, che aveva sporto denuncia all’Atm per aver respinto la sua richiesta di assunzione proprio per mancanze del requisito della cittadinanza. Il Tribunale, definendo la decisine dell’azienda una “disparità di trattamento”, ha costretto l’Atm, a rimuovere questo requisito dalle proprie offerte di assunzione.
 
La vicenda di Hailoua getta luce su un altro aspetto del rapporto degli immigrati con il lavoro: la crescita della coscienza dei propri diritti. Un aspetto evidenziato dal numero degli stranieri iscritti ai sindacati: 923.587 nel 2008, secondo l’elaborazione dati dell’Inail da parte della Caritas. In testa tra gli immigrati la Cisl, con 332.561 iscritti, seguita da Cgil (297.591) e Uil (190.078).

Fonte: Redattore Sociale

15 gennaio 2010

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