L’attentato in Chiesa e le tensioni con il regime


Laura Cappon


La bomba alla cattedrale copta di San Marco al Cairo, con 25 morti, potrebbe essere un punto di svolta nella strategia del terrore, Nel 2011 l’ultimo attentato anti-cristiano, ma attacchi nelle zone rurali e la nuova legge sui luoghi di culto incrinano il rapporto fra la minoranza e il presidente.


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L’attacco alla cattedrale copta di San Marco al Cairo è un punto di svolta nelle strategie dei gruppi terroristici dopo il colpo di stato del 2013? L’assenza di una rivendicazione dell’ordigno che ha provocato almeno 25 morti e una cinquantina di feriti non può ancora fare chiarezza sull’accaduto che sta scuotendo ulteriormente la minoranza cristiana. Un attentato di questa portata contro un luogo di culto cristiano non si verificava, infatti, dal 2011 quando una bomba esplose il primo dell’anno nella Chiesa dei Santi di Alessandria. Allora, il bilancio fu di 21 morti e circa 70 feriti.

A fare da cornice a questa situazione c’è la tensione tra il regime del presidente Al-Sisi e la minoranza copta. Gli scontri settari nelle zone rurali che si sono susseguiti frequentemente dal colpo di stato del 2013 a oggi – assieme alla discussa nuova legge sulla costruzione dei luoghi di culto – hanno, infatti, alienato il consenso dei cristiani che costituiscono circa il 10% della popolazione egiziana. A dirlo è anche una lunga analisi di Foreign Policy pubblicata alcuni giorni fa che ripercorre la difficile situazione della minoranza cristiana negli ultimi decenni di storia del paese. Il magazine sottolinea che la società civile copta che nel 2013 aveva benedetto l’arrivo di Al-Sisi ora protesta contro una linea del regime ritenuta troppo morbida nel punire gli scontri settari; un esempio sono i disordini avvenuti alcuni settimane fa a Sohag quando 15 case cristiane sono state attaccate da una folla di circa 2000 persone.
“Dopo questo attentato il regime e la chiesa copta saranno messi ancora di più sotto pressione dalla società civile cristiana”, dice Georges Fahmi, ricercatore dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. “Dubito, però, che le forti relazioni tra il patriarca e la presidenza cambieranno. Il sentimento tra i cristiani in questi mesi è che il presidente Sisi non è stato in grado di proteggere la nostra comunità”. L’attentato di oggi è il terzo nell’arco degli ultimi tre giorni. Venerdì scorso due bombe, una nel distretto di Giza aveva ucciso 6 poliziotti mentre una seconda esplosione aveva provocato un’altra vittima a Kafr El-sheick, cittadina a 134 chilometri a nord del Cairo. Ma la tipologia dell’attentato di oggi e l’alto numero di vittime civili, al momento il più alto dal 2011, possono far pensare a un ulteriore inasprimento delle attività terroristiche. Sino a ora, infatti, anche gli attacchi più eclatanti come quello contro la Direzione della polizia del 2014 o quello al Consolato Italiano del luglio del 2015, non puntavano mai alla popolazione civile. Secondo le prime ricostruzioni fatte questa mattina dalle forze di sicurezza la bomba, fabbricata con 12 chili di tritolo, sarebbe stata detonata da remoto all’interno della chiesa di Pietro e Paolo, edificio adiacente alla cattedrale principale.

Inoltre, secondo molti analisti, la crisi economica che sta colpendo l’Egitto – la lira egiziana ha subito una svalutazione di circa il 48% e le poche risorse di valuta straniera continuano a far mancare i beni di prima necessità come zucchero e medicinali – e la continua repressione dei diritti umani creano un ambiente fertile per i gruppi terroristici. Oltre a Wilayat Sina, la Provincia del Sinai, il gruppo nato nella penisola al confine con Israele come Ansar Bayt Al Maqdis e che ha poi cambiato nome nell’autunno del 2014 affiliandosi allo Stato Islamico, due nuove formazioni stanno emergendo in maniera sempre più potente.
La prima è Al-Hasm (che in arabo significa “risolutezza“). Il movimento ha rivendicato la bomba di due giorni fa contro i poliziotti del governatorato di Giza e il tentato omicidio dello scorso agosto contro il gran mufti Ali Gomaa. “Non ci sarà nessuna sicurezza sino a quando noi impugneremo le armi del jihad nel nome di Dio”, ha dichiarato in un recente messaggio diffuso su internet il movimento che secondo le forze di sicurezza egiziane è vicino ai giovani dei Fratelli Musulmani.

L’altro gruppo è Liwa Al-Thawra (la brigata della rivoluzione), che lo scorso ottobre è arrivato all’attenzione della stampa egiziana rivendicando l’uccisione del Brigadier Generale Adel Ragai, uomo dell’esercito che per lungo tempo ha guidato le operazioni antiterrorismo in Sinai. La dinamica della sua uccisione, avvenuta nella periferia del Cairo a pochi passi dalla sua abitazione, dimostra che questi gruppi sono in grado di compiere azioni sempre più precise e pericolose. Sia Al-Hasm che Liwa al-Tawra esprimono vicinanza a formazioni di resistenza islamista tra cui il movimento palestinese Hamas e per la prima volta anche ai Fratelli Musulmani. Ne è un esempio la rivendicazione sull’uccisione di Regai. Qui Liwa al-Thawra fa riferimento alla morte di Mohammad Kemal, leader dei FM rimasto ucciso lo scorso 4 ottobre durante un raid della polizia in un’abitazione del distretto di Bassateen al Cairo.

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it

11 dicembre 2016

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