Lasciati morire in mare


Avvenire


La spagnola Open Arms ha trovato un relitto con 2 cadaveri e una donna ancora viva dopo 48 ore in mare. La Guardia costiera libica: abbiamo soccorso 165 persone su un gommone


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La nave Open Arms denuncia l’omissione di soccorso in acque internazionali, dopo il ritrovamento al largo delle coste libiche i cadaveri di una donna e di un bambino di circa 5 anni, e di una donna di nome Josephine, ancora viva.

La nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms sta navigando nelle acque della cosiddetta Sar libica, seguita a breve distanza dallo yacht Astral, della stessa Ong. “Anche se l’Italia chiude i porti – aveva scritto su Facebook l’organizzazione non governativa – non può mettere le porte al mare. Navighiamo verso quel luogo dove non ci sono clandestini o delinquenti, solo vite umane in pericolo. E troppi morti sul fondale”. Una risposta, quelli degli spagnoli, arrivata dopo l’ennesimo annuncio mediatico del vice premier Matteo Salvini che aveva ribadito la sua linea dura di chiusura dei porti italiani: “Due navi di Ong spagnole sono tornate nel Mediterraneo in attesa del loro carico di esseri umani. Risparmino tempo e denaro, i porti italiani li vedranno in cartolina”.

Già dalle prime del mattina Luigi Manconi, coordinatore dell’Unar, aveva riferito del ritrovamento da parte di Open Arms del relitto e dei cadaveri avvenuto nelle ultime ore al largo della Libia: “Quelli di Open Arms hanno trovato questa mattina un relitto in mare, con due cadaveri e una persona ancora viva in evidente stato di ipotermia. Aspetto di avere altre notizie”.

Stando alla versione riportata da Internazionale che ha parlato con il portavoce di Open Arms Riccardo Gatti, “per la dottoressa di bordo Giovanna Scaccabarozzi la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco. Nessun dettaglio per il momento su cosa sia successo agli altri passeggeri del gommone”.

In seguito Open Arms e in particolare il suo fondatore Oscar Camps ha fornito altre spiegazioni e pubblicato su Twitter alcune foto del relitto ritrovato in mare: Avvenire ha scelto di non pubblicarle tutte per il rispetto della dignità delle vittime.
“Quando siamo arrivati, abbiamo trovato una delle donne ancora in vita, non abbiamo potuto fare nulla per salvare l’altra donna e il bambino che a quanto pare è morto poche ore prima. Per quanto tempo avremo a che fare con gli assassini arruolati dal governo italiano per uccidere?”. È quanto si legge sul profilo Twitter di Oscar Camps, fondatore della Ong Open Arms che è a bordo di una delle 2 navi che ora si trovano a sud della Sicilia.

Va ricordato che la guardia costiera libica in un comunicato aveva spiegato di aver intercettato un gommone con 158 persone a bordo, al largo della città di Al-Khoms, più o meno nella stessa zona in cui sono stati trovati i morti e la donna sopravvissuta. E’ anche possibile che vi sia un certo numero di dispersi.

In un tweet precedente Camps denunciava: “La guardia costiera libica ha annunciato che aveva intercettato una barca con 158 persone a bordo e ha fornito assistenza medica e umanitaria. Quello che non ha detto è che hanno lasciato due donne e un bambino in mare e hanno affondato la nave perché le donne non volevano salire sulle motovedette”.

La donna sopravvissuta e salvata oggi si chiama Josephine, viene dal Camerun ed è rimasta due giorni in mare attaccata ad un pezzo di legno prima che i volontari di Open Arms la salvassero. A raccontare la storia della donna recuperata al largo della Libia
è Annalisa Camilli, una giornalista di Internazionale che si trova a bordo della nave della ong spagnola. Secondo il suo racconto, i resti del gommone sono stati individuati questa mattina alle 7.30 ad 80 miglia dalle coste libiche. A soccorrere la donna è stato Javier Figuera, uno spagnolo di 25 anni: “Quando le ho preso le spalle per girarla – dice – ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me”. A quel punto, prosegue Camilli, sono arrivati altri soccorritori e l’hanno trasportata sulla nave, dove ora si trova con sintomi di ipotermia.

Secondo il portavoce della ong Riccardo Gatti, scrive Camilli su Internazionale – per tutta la giornata di ieri il mercantile e la guardia costiera libica hanno parlato alla radio di due gommoni in difficoltà e poi la guardia costiera libica avrebbe detto al mercantile di ripartire perché sarebbero intervenute le motovedette libiche. Quello che è avvenuto, accusa Camps “è la conseguenza diretta” del fatto che l’Europa ritenga la Libia un “paese con un governo” e che “abbia una guardia costiera capace di intervenire”. Ed è la “conseguenza diretta dell’aver impedito alle Ong di lavorare per salvare vite nel Mediterraneo”.

Dal canto suo il ministero dell’Interno contesta la versione della ong e promette una ricostruzione a breve.

La Guardia costiera libica conferma il salvataggio ma respinge le accuse
La Guardia costiera libica in serata ha confernato di aver condotto nella notte tra lunedì e martedì un’operazione di soccorso di 165 persone, tra cui 34 donne e 12 bambini – è stato recuperato anche il corpo di una bimba che aveva meno di un mese – a bordo di un gommone rimasto in panne per 60 ore a 76 miglia dalle coste libiche, a largo di Garabulli. L’operazione “è stata documentata da una troupe televisiva tedesca di Rtl” che ha potuto “vedere da vicino le difficoltà in cui opera la marina libica, con la scarsità di mezzi, soprattutto per le operazioni di soccorso notturno”. La marina conferma – inoltre – di aver “fatto affondare il gommone per non permettere ai trafficanti di utilizzarlo nuovamente” ma non fa alcun riferimento alle accuse delle Ong né ai due cadaveri e alla superstite raccolti dalla Open Arms. “Gli uomini del salvataggio continuano a fare il proprio lavoro con abnegazione, nonostante non vengano mai riconosciuti e siano continuamente denigrati da persone ingiuste”

L’inchiesta di Ragusa e le testimonianze dei sopravvissuti
Sono annegati quattro dei trenta migranti che, alla vista delle navi Protector di Frontex e Monte Sperone della guardia di finanza italiana a largo di Linosa, si erano gettati a mare dal barcone su cui viaggiavano.

Si tratta di una testimonianza che è stata resa alla squadra mobile di Ragusa da parenti e amici delle vittime approdate nella notte tra domenica e lunedì a Pozzallo, dopo tre giorni in cui il governo italiano le aveva fatte attendere mentre cercava paesi europei disposti ad accogliere una parte delle persone a bordo.

Al comandante e a 10 componenti dell’equipaggio del barcone la Procura di Ragusa ha contestato, oltre al reato di favoreggiamento di immigrazione clandestino, l’aver provocato la morte di 4 migranti.

La polizia, la guardia di finanza e i carabinieri già lunedì avevano sottoposto a fermo il comandante e altri 10 componenti dell’equipaggio, dotati di navigatore satellitare e bussola.

Dalle testimonianze che alcuni migranti somali hanno reso agli investigatori è emerso che durante la traversata un gruppo di persone, non appena ha notato la nave italiana nei pressi di Linosa, ha deciso di buttarsi in acqua per raggiungere l’imbarcazione a nuoto.

L’episodio è accaduto lo scorso 13 luglio e 34 migranti sono stati salvati da due motovedette della Capitaneria di porto e di una della Guardia di finanza. Tre somali hanno poi riferito che di quattro loro parenti si sono perse le tracce. Sono in corso accertamenti sull’identità dei migranti ricoverati in ospedale.
L’Austria non accoglierà nessuno dei 450 sbarcati a Pozzallo
Intanto l’Austria ha confermato che non accoglierà nessuno dei 450 migranti sbarcati in Italia, a Pozzallo, dalle due navi militari che sono stazionate per giorni dinanzi alle coste della Sicilia fino a quando cinque Paesi europei (Germania, Francia, Portogallo, Malta e Spagna) si sono impegnati ad accoglierne alcuni.

Lo ha spiegato lo stesso cancelliere Sebastian Kurz, al premier Giuseppe Conte, in una lettera resa nota dall’agenzia austriaca Apa. Il giovane capo di governo, alla guida di un’alleanza tra conservatori e ultranazionalisti, ha giustificato la sua posizione con l’elevato numero di richiedenti asilo registrati nella Repubblica alpina. “In relazione al numero di abitanti”, l’Austria ha accettato dal 2015 più richiedenti asilo che “molti altri” Paesi partner europei.

Ilaria Solaini

Avvenire

18 luglio 2018

 

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