La Turchia si riprende le sue città


Sara Datturi


Continuano gli scontri: 120 dimostranti in prigione, muore un agente. E contro la frammentazione sociale del governo, la gente riconquista gli spazi urbani.


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La giornata di ieri si è aperta con il susseguirsi delle manifestazioni indette dai maggiori sindacati e con la notizia che il commissario europeo Fule arriverà ad Istanbul per incontrare il movimento Solidale di Taskim. A Istanbul gli scontri con la polizia sono avvenuti soltanto a tarda notte nella zona di Besiktas, mentre ad Izmir la polizia ha represso i manifestanti con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Secondo le principali testate giornalistiche turche, ad oggi si registrano 120 dimostranti in prigione, tra cui 12 sarebbero stranieri (tra loro anche studenti francesi, tedeschi e greci arrivati in Turchia con il programma Erasmus), accusati di aver incitato la rivolta. Alcuni di questi sarebbero già stati rilasciati.

Mentre proteste continuano in tutto il Paese, nella città nativa del primo ministro Erdogan si sono registrati scontri tra i sostenitori del suo partito (AKP) e manifestanti solidali con i contestatori del parco Gezi ad Istanbul. HurrietDaily news, riporta che solo l'intervento della polizia ha evitato un'ulteriore escalation di violenza tra i due gruppi. Anche un poliziotto si aggiunge alle tre vittime di queste proteste, è deceduto dopo essere caduto da un ponte ad Adana nel Sud della Turchia.

Il decimo giorno di protesta ha visto in prima linea la delegazione della piattaforma solidale di Taksim, che nell'incontro di mercoledì con il deputato Bülent Arinc ha chiesto non solo di fermare la violenza della polizia e il salvataggio del parco di Gezi, ma ha anche reclamato la sospensione altri progetti, come la costruzione del terzo ponte sul Bosforo e gli ultimi piani di trasformazione urbana iniziati in tutta la Turchia. Il vice premier ha risposto invitando alla calma e senza scusarsi per le vittime delle proteste, ha ripetuto che ogni decisione sarà presa al ritorno del presidente Erdogan, prevista per oggi. Nelle stesse ore, il primo ministro ha annunciato che dietro le proteste al parco di Gezi ci sarebbero gli stessi attori legati all'attacco dell'ambasciata ad Ankara avvenuti lo scorso primo febbraio. Inoltre, Erdorgan non ha fatto nessun passo indietro nei confronti del progetto di trasformazione urbana previsto per il parco di Gezi.

Mentre il parco Gezi si sta trasformando in una nuova Cristania, la Turchia subisce una forte pressione internazionale. Il ministro degli esteri turco risponde alle perplessità del segretario di stato statunitense John Kerry dicendo: "Questo tipo d'incidenti sono eccezionali e potrebbero succedere ovunque nel mondo. Quindi, non c'è nulla di straordinario in cosa sta avvenendo in Turchia". L'Inghilterra e altri stati Europei tra cui l'Italia hanno invitato i propri cittadini a non viaggiare nelle città turche dove sono in corso proteste.

Per la prima volta dopo molti anni, i cittadini turchi chiedono con forza di voler dialogare con il proprio governo. La governance locale reclama di essere ascoltata dalle istituzioni. La protesta per salvare il parco di Gezi porta con sé un potenziale e un dissenso per un sistema politico ed economico incentrato solamente sul profitto, che ha visto negli ultimi dieci anni trasformare il tessuto urbano e umano di una società storicamente solidale.

La via di Istiklal che fino a una settimana fa era solo l'incontro veloce di sguardi, la vetrina di dell'occidente e delle sue maggiori firme, è stata ripresa, si è ritrasformata. Ci sono venditori di ogni tipo, dalle birre alle mascherine anti gas, nuovi manifesti e scritte, persone che si siedono per terra e suonano fino la mattina. Quello che sta succedendo qui in Turchia simboleggia ed esprime il disagio di un sistema legato al profitto e all'interesse personale, che avvantaggia la visione dell'avere rispetto a quella dell'essere. E' una forza di cambiamento che rivendica il proprio desiderio e diritto di poter decidere come cambiare e trasformare il proprio spazio urbano.

Come afferma Cidgem Sahin, professoressa di economia all'Università di Istanbul e attivista del movimento contro l'urbanizzazione forzata, il governo sta trasformando la Turchia attraverso un sistema a tre parti: frammentare, ingerire e controllare. Frammentare nel senso di dividere al suo interno i cittadini, cercare di mantenerli in una situazione di eterno dubbio. Ogni legge è approvata nel silenzio, è anticipata con sfumature d'incertezza e dubbio. Una sottile demagogia del linguaggio alimenta quest'aura di vero cambiamento urbano.

Ingerire, deglutire si riferisce ad un certo tipo di modello neo liberale concentrato sul accumulare beni e tradurli in nuovo profitto. In Turchia, questo sistema è visibile nella speculazione edilizia di questi ultimi anni, che vede in prima linea tanti investitori nazionali e internazionali entrare nel mercato e promuovere la costruzione di nuovi quartieri residenziali con piscina e centri commerciali. Tutto questo a scapito della popolazione autoctona, la quale è forzata ad andarsene nei sobborghi esterni della città. Una centrificazione urbana che non fa altro che promuove la divisioni tra due classi sociali: ricchi al centro e poveri fuori.

La terza forza è il controllo. Un potere che si fonda e si diffonde attraverso un certo tipo di linguaggio come il rassicurare la popolazione promettendo progresso, nuovi posti di lavoro e un futuro con una macchina più grande. Un altro argomento che è utilizzato dal governo turco per promuovere i suoi progetti di trasformazione urbana è il rischio sismico a cui è soggetta la Turchia. Costruire nuove case per evitare alle nuove generazioni di subire i danni di questi disastri naturali, ragioni vere che purtroppo sono strumentalmente usate per promuovere particolari interessi economici.

Cigdem denuncia il silenzio e l'opacità che il governo utilizza nello sviluppare questo tipo di progetti. I movimenti urbani reclamano il diritto di ripensare e ricreare una città, questa giungla urbana includendo tutti gli abitanti nel processo decisionale. "Il modo in cui il governo sta sviluppando questo tipo di urbanizzazione deve cambiare (.) noi come movimento, chiediamo di rendere questo processo più umano".

La piazza di Taksim di questi giorni con le sue strade improvvisate come campi da calcio e il suo parco diventato un centro multiculturale dove si crea e si ricostruisce cultura, arte e politica rappresentano questo diritto a riprendersi la città, la voglia di rispettare ogni credenza. Come dice D. Harvey nel suo ultimo libro "Il diritto alla città" (2005), "Il diritto alla città è molto più che la libertà individuale di accedere alle risorse urbane: si tratta di un diritto di cambiare noi stessi percambiarela città. La libertà di fare e rifare le nostre città e noi stessi è uno dei più preziosi e ancora più trascurato dei nostri diritti umani".

Fonte: Nena News

7 giugno 2013

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