La riforma sanitaria di Obama arriva al dunque


Marco d'Eramo


Dopo estenuanti trattative durate mesi, oggi arriva finalmente nell’aula della Camera dei Rappresentanti il disegno di legge sulla riforma sanitaria.


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La riforma sanitaria di Obama arriva al dunque

 Il voto dovrebbe concludersi nel week-end in una seduta straordinaria. Il testo, di 1990 pagine, propone una spesa di 1.055 miliardi di dollari (circa 700 miliardi di euro) spalmata su dieci anni per estendere la copertura sanitaria ad altri 36 milioni di americani (sui 47 che oggi ne sono privi). Nella forma attuale, il testo prevede questa copertura sotto la forma di un’estensione del programma già attualmente vigente per i più indigenti, Medicaid. Almeno nella sua formulazione attuale, il testo prevede anche la discussissima public option, cioè una forma di assicurazione pubblica che costituisca una rete di sicurezza disponibile solo per chi non dispone di altre forme di assicurazione privata (per esempio le piccole imprese, artigiani e commercianti che non possono permettersi le assicurazioni correnti), e che costituisce non un obbligo, ma appunto un’opzione. Nel testo non è neanche presa in considerazione l’instaurazione di un single payer, cioè di una previdenza universale, come vige in quasi tutti i paesi industrializzati.
Comunque vada il voto di oggi, il testo deve ancora passare al vaglio del Senato, che costituisce l’ostacolo più difficile, visto che tra i senatori democratici vi sono alcuni apertamente schierati contro la riforma sanitaria. In ogni caso, il capogruppo democratico, il senatore del Nevada Harry Reid, ha già detto che è molto difficile che il Senato riesca ad approvare la legge entro l’anno, preannunciando perciò lo sforamento della scadenza che il presidente Barack Obama aveva dichiarato «improrogabile». Un rinvio all’anno prossimo renderebbe tutto più difficile e metterebbe in forse la legge.
In attesa del Senato, l’approvazione della Camera è un passo decisivo per questa legge tanto attesa e tanto contrastata. Mentre i deputati si preparano a votarla, sui prati fuori dal Congresso continuano le manifestazioni degli oppositori, con lo spettacolo di ultrasettantenni con la bombola di ossigeno che  gridano il loro no a un’"eutanasia di massa" con cui, a detta dei repubblicani e delle lobbies assicurative, la riforma falcerebbe i più anziani. Il canale tv di destra Fox News si dilunga sulle immagini dei malori di questi vegliardi contestatori.
Dentro alla Camera invece le trattative dell’ultimo minuto fervono ancora su due temi caldi: l'estensione o meno della copertura sanitaria all’aborto e agli immigrati senza permesso di soggiorno. Proprio a causa di questi due punti, fino a ieri sera la leader della Camera, Nancy Pelosi, non era sicura di poter ottenere i 218 voti necessari per l’approvazione, nonostante i democratici abbiano 258 parlamentari: ma parecchi deputati democratici eletti nelle circoscrizioni rurali, o del sud, o in aree di proletari bianchi, temono di perdere il seggio se appoggiano una legge pro-abortista o filo-immigrati.
La Casa bianca sta esercitando tutto il suo peso per accelerare l’iter parlamentare. Con una mossa inconsueta, giovedì Obama si è presentato alla Camera per annunciare l’appoggio alla legge da parte di due importanti gruppi di pressione, l’American Medical Association (Ama) cui aderiscono 250.000 dottori statunitensi (circa un terzo del totale), e l’Aarp, l’American Association of Retirees Persons, 40 milioni di iscritti, la maggiore associazione per gli "over 50".
L’appoggio dell’Ama è da un lato un’ottima notizia, perché elimina uno dei maggiori ostacoli che finora si frapponevano alla riforma, ma dall’altro è vista da molti come la conferma della natura ibrida e compromissoria della riforma, proprio perché l’Ama ha una fama di corporativismo esasperato. «L’Ama concepisce la medicina come un business e difende gli interessi di questo business. Fu l’Ama a opporsi a ogni costo alla riforma sanitaria di Harry Truman nel 1949. Ora ha perso potere, ma è sempre pazzescamente corporativa» mi dice Jo Patton, sindacalista del maggior sindacato degli operatori sanitari di America, l’Afscme. «Ma, con tutti i suoi difetti, conclude Jo, questa legge rappresenta un immenso passo in avanti rispetto al disastro in cui viviamo da anni».

Fonte: il Manifesto

6 novembre 2009

 

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