La fuga dei ragazzi della rivoluzione


Giuliana Sgrena - ilmanifesto.it


Nonostante la rivoluzione dei gelsomini, i giovani tunisini continuano ad affollare le coste e a imbarcarsi sulle “carrette della speranza”. La nuova dignità, la libertà riacquistata e democrazia non riescono a sconfiggere la precarietà e la povertà generata dalla crisi economica.


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La fuga dei ragazzi della rivoluzione

Parlare di rimpatri quando a essere rimpatriati saranno solo cadaveri è ancora più raccapricciante. Anzi forse i corpi degli eritrei e dei somali in fuga dalla Libia non potranno nemmeno tornare nei loro paesi. Ma l'accordo vantato dal governo italiano riguarda la Tunisia. Non si tratta di un grande successo quello ottenuto dopo ore, giorni di trattative. Eppure gli italiani possono dire di avere imposto il controllo delle coste e il rimpatrio di 800 migranti mentre per il governo tunisino il successo è rappresentato dai 22.000 permessi temporanei per i tunisini sbarcati a Lampedusa.
L'esodo si fermerà dopo questo accordo? Probabilmente no, quando si vuole fuggire la via si trova. Da che cosa fuggono i tunisini? Non da una dittatura, che non c'è più, ma dalla mancanza di lavoro, di prospettive, di futuro. Lo troveranno in Europa? Probabilmente no, ma la speranza non si può soffocare con la triste realtà. E per i giovani tunisini che si sono immolati per ottenere un posto di lavoro non sarà certo il rischio di una traversata su una carretta del mare a fermarli. Ma perché questa evasione di massa proprio adesso che la dittatura non c'è più? Nono sono interessati dalla rivoluzione in corso? La rivoluzione per la dignità e la democrazia ha dato un senso di liberazione, di libertà. E la libertà non si ferma ai confini di un paese, ha bisogno di spazio, di evasione. Da che cosa si evade? Dalla precarietà, quella precarietà che ci accomuna.
La liberazione dalla dittatura e la transizione verso una democrazia passa attraverso l'affermazione dei diritti. Tra questi vi è il diritto al lavoro, non più un lavoro precario come ai tempi di Ben Ali, ma un impiego regolare. E per ottenerlo molti lavoratori sono in sciopero. Il governo di transizione alle prese con molti problemi – compreso quello della sostituzione della vecchia amministrazione che controlla ancora settori chiave – non riesce a risolvere questi problemi. Anche perché l'economia langue, il tasso di sviluppo quest'anno si avvicina allo zero, il turismo – una delle principali entrate – è bloccato. La rivoluzione non si fa in quattro mesi. Per cambiare il sistema si parte dai problemi politici: elezioni della costituente, nuove leggi elettorali, norme sui partiti, lotta alla corruzione, etc. La soluzione dei problemi economici – investimenti, creazione di nuovi posti di lavoro, etc. – va di pari passo con la stabilizzazione del paese.
Se la rivoluzione avrà successo probabilmente i tunisini non avranno più incentivi a emigrare, forse ci saranno anche rientri – molti dei migranti lo fanno per un periodo transitorio -, ma occorre dare del tempo. I tunisini sono sensibili al problema: già ora il 10 per cento della popolazione vive fuori dal paese. Se si vuole fermare l'esodo occorre aiutare la rivoluzione. Invece il nostro governo ha una politica miope che guarda solo ai problemi interni dell'Italia, come è successo con il trattato sottoscritto con Gheddafi perché bloccasse i migranti e ora fatto proprio dal governo di Bengasi già riconosciuto da Roma; se volesse affrontare il problema a lungo termine dovrebbe sostenere la rivoluzione tunisina. Solo un governo rappresentativo di tutte le istanze della popolazione, legittimato da elezioni come esito di un processo di democratizzazione potrà ridare stabilità alla Tunisia e riuscirà a trattenere i propri «cervelli». I giovani che ora non trovano lavoro e partono sono in gran parte diplomati e laureati, per la Tunisia si tratta di una grossa perdita, non solo perché ha sostenuto le spese della formazione ma perché sono loro il futuro del paese. Un futuro da costruire.
Sostenere la rivoluzione vuol dire fare accordi economici che non rappresentino una strozzatura per la Tunisia, promuovere il turismo, visto che non c'è nessun rischio per chi vuole tornare sull'altra riva del Mediterraneo. E le forze democratiche dovrebbero dare visibilità ai protagonisti della rivoluzione: donne, giovani, sindacati. Aiutarli a portare avanti i loro obiettivi. Nella rivoluzione tunisina gli islamisti non c'erano ma la democrazia ha aperto loro spazi che stanno riempiendo con soldi e iniziativa politica, che usa il doppio linguaggio: moderato sul piano ufficiale e radicale con i militanti.

Fonte: www.ilmanifesto.it

7 aprile 2011

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