La crisi dell’Italia interroga anche il movimento per la pace. Quali sono le nostre responsabilità? Qual è la nostra rilevanza?


Grazia Bellini


La Tavola della pace ne sta discutendo da tempo. Ora è tutto più chiaro e urgente. Se vogliamo incidere dobbiamo partire da noi. Vieni a Padova il 10 maggio. Ne discuteremo insieme progettando il futuro del nostro impegno per la pace e la giustizia.


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La crisi dell’Italia interroga anche il movimento per la pace. Quali sono le nostre responsabilità? Qual è la nostra rilevanza?

Siamo in un momento di vita della tavola della pace in cui dal punto di vista numerico siamo tantissimi quindi siamo in un momento forte si direbbe di questa parte del movimento della pace che è in Italia e che siamo noi e le organizzazioni che rappresentiamo. Ci sono più di 1600 organizzazioni che hanno partecipato alla Marcia Perugia-Assisi di ottobre che tutti ricordiamo. Ci sono state migliaia di iniziative sparse per il nostro paese, noi potremmo anche dire che di questo siamo contenti ed è anche vero ma dobbiamo anche dirci su che cosa questo ci interpella e la domanda principale che ci siamo posti e che vorremmo condividere tutti insieme è: come può succedere che una così grande quantità di persone, di uomini e di donne impegnati in molti modi sul fronte della pace, come può succedere che siano in tanti, che siano sempre di più, che siano sempre più uniti e che, allo stesso tempo, le politiche di questo paese non siano diventate nella stessa proporzione di più politiche di pace? Dov’è lo scarto tra la presenza dei numeri e l’incidenza politica, l’incidenza culturale? L’incidenza politica sulle politiche e l’incidenza culturale sui pensieri, sul modo di impostare le cose, sul modo di leggerle. Com’è che continuiamo a difenderci da ogni forma di diversità? Com’è che le diversità vengono colpevolizzate? Perché sono strane, perché sono “altre”, perché non sono normali come siamo noi, com’è che questa normalità è stata così arbitrariamente definita da qualcuno di noi, che stava nella situazione dell’agio nel nostro paese, com’è che questi hanno deciso cosa era normale e cosa non lo era? Com’è che le posizioni di forza hanno cercato di giustificarsi attraverso malintese interpretazioni del diritto? Com’è che questo nostro voler esserci, dire e contare non ha pesato abbastanza? Non siamo stati capaci? La domanda è su di noi: non siamo stati capaci di tradurlo abbastanza in politiche di pace. Dico “abbastanza” per non sottovalutare i segni positivi che nella politica del nostro paese abbiamo registrato negli anni passati e a cui abbiamo dato valore.

Allora credo che dobbiamo cercare dei nuovi gesti politici, dei nuovi modi per fare, per dire politica, per esserci politicamente, per incidere politicamente così come noi vorremmo perché in tutto tra questi pensieri striscianti c’è anche quello che la politica non valga più e questo è quello di fronte al quale ci ribelliamo di più. In questo degrado di alcuni aspetti della politica, in questa insufficienza della politica; quello che noi diciamo è che vogliamo più politica e un intervento più forte in questo senso, e ce lo domandiamo perché –come diceva il nostro amico Gianfranco Benzi, a cui ho detto che avrei citato una cosa saggia, e mi è sembrata davvero saggia- non ci interessa scivolare in logiche residuali di testimonianza, in logiche minoritarie. Non è questo il nostro obiettivo. Non ci importa dare segnali di questo tipo. Non ci importa che di noi venga detto che luminosamente rappresentiamo la pace. Ci importa di riuscire a farla la pace, anche un pezzetto solo, ma di riuscire a farla: è questa la differenza. Quando parlo di efficacia politica intendo questo. Non che si parli di più della Tavola della pace, non che si parli di più di noi, ma che finalmente si dia il giusto riconoscimento a una volontà collettiva di pace che ancora non riesce a sufficienza a trasformarsi in un’azione politica. Dunque: cerchiamo questi nuovi gesti.

La domanda che ci poniamo è: che fare dunque? Cosa dobbiamo cambiare per rimanere fedeli a quello di cui davvero ci importa, e che è la costruzione della pace. Non c’eravamo messi insieme tanti anni fa per dare vita a un nuovo soggetto –ogni tanto ci chiedono se questo soggetto diventerà politico o non politico, se ne facciamo un movimento, se sì, se no,… domande che ci scivolano un po’ addosso- ci eravamo messi insieme per costruire, per contribuire a costruire un’altra storia, una storia in cui la pace magari non la si dice più perché la si fà. Non importa tanto dirla se le politiche sono di pace. Questo è l’obiettivo che abbiamo ancora in mente e vorremmo poterlo discutere e analizzare, aldilà di ogni affezione alle forme storiche che in questi anni ci siamo dati per rappresentare questa volontà e per seguire questi obiettivi.

Siamo affezionati a questa idea che avevamo e per questa idea e per questo bisogno di nuovi gesti politici, siamo disposti a rimettere tutto in discussione. Non abbiamo santini messi da parte. E questo non è per voglia di novità. È per un antico rispetto del motivo per cui ci eravamo messi insieme. E’ un motivo storico quello che ci spinge a interrogarci, se sia necessario cambiare, cosa sia necessario cambiare e come dobbiamo organizzarci diversamente. In questo momento abbiamo paura solo di quello che sappiamo già, solo di quello che abbiamo già visto e sperimentato, che se seguitiamo a guardarlo finiremo per credere che sia l’unico possibile, l’unica storia possibile, l’unico modo possibile. Vogliamo invece continuare a meravigliarci, a sognare (sognare è forte, è sognare insieme, sognare è fare) per vedere se invece altre cose non siano possibili. Quindi vorremmo dare più spazio alle domande che non alla fretta di trovare le risposte.

Crediamo che sia importante provare a capire insieme che c’è da fare, quale forma richiede da noi, quale tipo di impegno, quale agenda e anche quale forma organizzativa, quali appuntamenti, quale nuova idea che si trasformi in gesto. Con questo obiettivo rileggiamo anche la nostra storia con tutta l’affezione che merita. La strada che abbiamo fatto ha molto valore e ci dà indicazioni anche su come andare avanti. La nostra scommessa iniziale è stata quella dell’essere insieme tra diversi su un obiettivo comune e forte che ci legava e che ci lega. Lo ridico perché siamo ancora in tempi in cui invece troppe volte sentiamo dei tentativi di raccolta in base ad etichette precostituite di qualunque tipo, e non è questo che ci interessa. Abbiamo poi lavorato molto sui tempi, sulle articolazioni dei temi, sugli ambiti in cui tutto il lavoro della pace si è articolato, ed in particolare in questi anni sul tema dei diritti umani, informazione, la scuola, l’educazione, la giustizia, il futuro possibile, i giovani che sono stati coinvolti, le persone aggregate, le persone non aggregate, il nostro qui e il nostro altrove, ciò che ci interpella a casa nostra e che abbiamo scoperto essere così drammaticamente simile a volte a ciò che ci interpella fuori dal nostro paese.

E quindi la domanda è: condividiamo una bella storia, ma quale responsabilità abbiamo? Possiamo accontentarci del nostro compito quotidiano con tutta la rilevanza che ha un compito quotidiano? Non esiste un compito serio che non abbia anche aspetti di ferialità, non esiste etica solo internazionale non anche in casa nostra; non c’è cosa che valga la pena di essere custodita, se non ha riscontro nella nostra vita di tutti i giorni, però oltre a questo nostro quotidiano, e insieme a questo abbiamo imparato che ci sono mondi domande e impegni più grandi. Come facciamo? Come deve essere la nostra agenda perchè non sia solo dettata dalla cronaca, né tantomeno dall’abitudine e nemmeno dalla nostra bella e cara storia? Per trovare le risposte a queste domande, per dirci insieme dove e come dobbiamo camminare, dobbiamo affidarci l’uno all’altro, mettendo a confronto quello che noi oggi leggiamo del nostro paese, del nostro mondo, delle nostre organizzazioni, di noi come persone.


Con questo intervento, Grazia Bellini, coordinatrice nazionale della Tavola della pace, ha introdotto il Seminario nazionale della Tavola della pace intitolato “L’Agenda politica dei diritti umani” che si è svolto ad Assisi il 29 febbraio e 1 marzo 2008. Nei prossimi giorni pubblicheremo gli altri interventi del dibattito “Facciamo pace con la politica”.

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