L’Italia porta al vertice altri duecento istruttori per la missione a Kabul


Antonella Rampino


Si apre oggi a Lisbona il vertice Nato. Quali sono le minacce che fronteggia la Nato e gli obiettivi del nuovo scudo antimissile? Come si comporterà l’Italia?


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L'Italia porta al vertice altri duecento istruttori per la missione a Kabul

Il nuovo concetto strategico, l’avvio della transizione verso la riconsegna dell’Afghanistan agli afghani, il reset nelle relazioni con Mosca, e il nuovo scudo missilistico cui Obama tanto tiene da averne ridisegnato il dispiegamento allontanandolo dai confini della Federazione russa: la Nato arriva al vertice che si apre domani a Lisbona dopo un lungo percorso. Centrale sarà la ridefinizione dell’Alleanza, destinata a passare «da organizzazione di difesa a organizzazione di sicurezza», per dirla con l’ambasciatore Usa David Thorne.
In pratica, la polizia (militare) del mondo, in un mondo in cui i nemici sono cambiati, e «Obama chiede agli europei di essere produttori e non solo consumatori di sicurezza», per dirla con il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. E se il cuore di questa «produzione di sicurezza» sono le missioni militari, l’Italia arriverà al vertice con altri 200 istruttori per l’Afghanistan, portando il totale a 600, «che sono moltissimi», nota la Farnesina.

Ma il punto sul quale l’apporto italiano è di primissimo piano è nel rapporto tra la Nato e la Russia: non a caso è stata proprio l’Italia ad annunciare l’arrivo a Lisbona del presidente Dmitry Medvedev, «il reset della Nato sta già funzionando» ha detto Frattini a deputati e senatori prima di partire per Lisbona, «grazie anche all’azione nostra e della Germania». Dando anche come più che probabile il successo dell’«intento ambizioso di coinvolgere la Russia nel comune progetto di difesa antimissilistica».
Dopo la crisi in Georgia dell’estate 2008, quando la Russia aveva rotto i suoi rapporti con la Nato, mentre George W. Bush mandava in giro per i Paesi baltici Dick Cheney a illustrare la difesa missilistica anti-Mosca, il presidente Obama ha strategicamente ridisegnato lo scudo. E l’Italia a Lisbona potrebbe dare una mano, bissando il successo raggiunto convincendo i russi a rinunciare a vendere alla Siria i dispositivi anti-missile S-300. Con la Russia, e per il miglioramento dei rapporti con la Polonia, l’Italia ha lavorato di concerto col segretario generale Nato Rasmussen, che ha appena riconfermato nella sua struttura gli italiani De Paola e Bisognero.

Del resto, non sono un mistero i rapporti straordinari che con la Russia coltiva Silvio Berlusconi, che l’anno scorso alla ministeriale Nato con Mosca fece irruzione a sorpresa, e che sarà presente a Lisbona. La posizione italiana sul dispiegamento dello scudo è di evitare di menzionare i Paesi contro cui sarebbe rivolto, come l’Iran, e questo per allontanare rischi di rottura con la Turchia, postazione Nato storica e centrale per il Medio Oriente. Frattini avrà bilaterali con Hillary Clinton, e con la francese Alliot-Marie che debutta per il Quai d’Orsay a un vertice internazionale.
Ma alcuni dossier sono stati già incassati: per la nuova Nato organizzazione di sicurezza globale e aperta ad altri Paesi oltre i 28, nel biennio 2011-2012, l’Italia fungerà da punto di contatto col Qatar e con Israele.

Fonte: La Stampa

19 novembre 2010

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La nuova Nato guarda a Oriente
di Alberto Negri

Quali sono le minacce che fronteggia la Nato e gli obiettivi del nuovo scudo antimissile? Come cooperare con la Russia e convincere la Turchia a vestire ancora la divisa, un po’ consunta, di gendarme sul fronte orientale? Vent’anni dopo la fine della guerra fredda sono queste alcune delle domande al vertice di due giorni dell’Alleanza Atlantica che comincia oggi a Lisbona. La Nato deve reinventarsi un ruolo e un nuovo concetto strategico dopo essersi spinta ben al di fuori dei suoi confini, fino all’Afghanistan, dove sono schierati 150mila uomini, due terzi americani: nove anni di conflitto, 2.200 caduti e l’obiettivo di ritirarsi, forse, nel 2014.

Queste cifre ricordano che la Nato è un’alleanza in guerra proiettata verso Oriente, non un confortevole club di potenze e lo sottolinea pure il suo segretario generale, l’ex premier danese Anders Fogh Rasmussen il quale, alla vigilia, assicura che «i talebani sono sotto pressione e ne usciremo vincitori».
L’Afghanistan, dove la Nato si gioca gran parte della credibilità, è la maggiore operazione della sua storia, uno dei temi di Lisbona dove è atteso anche il presidente Hamid Karzai. Mentre alcune nazioni hanno già a annunciato calendari di ritiro questo termine è stato ufficialmente bandito: la parola d’ordine è “transizione”, cioè il trasferimento della sicurezza agli afghani. Ma la verità è che sotto la pressione delle opinioni pubbliche e dei tagli di bilancio la maggior parte degli alleati vogliono disimpegnarsi.

Il piatto forte del vertice sarà la firma del “concetto strategico”, un nuovo documento d’azione, come era già avvenuto dopo la caduta del Muro e poi nel ’99, quando si era in piena guerra del Kosovo contro la Serbia di Milosevic ma ben lontani dalla catastrofe dell’11 settembre che davvero ha cambiato tutto.
Il punto centrale è che sarà riaffermato con forza l’articolo 5, secondo il quale un attacco contro uno degli stati membri è un attacco contro tutti: si tratta di allargare il mandato e accettare operazioni, come quella in Afghanistan, fuori dai confini Nato. Verrà quindi ribadito il concetto di difesa collettiva esteso alla mutua protezione contro le nuove minacce: gli attacchi terroristici di ogni tipo, da quelli cibernetici agli attentati convenzionali, dalle armi di distruzione di massa – come la possibilità che stati o organizzazioni tipo al-Qaeda possano dotarsi di armi nucleari – alla protezione delle fonti di approvvigionamento dell’energia.

La seconda questione è lo Scudo di Obama, un sistema di difesa antimissile che dovrà proteggere tutta la Nato, dall’Europa agli Stati Uniti, un piano più ambizioso e costoso (20 miliardi di euro in 10 anni) di quello concepito dall’amministrazione Bush. Si parte nel 2011 e si finisce nel 2020 con lo schieramento in quattro fasi di sistemi d’arma contro ogni tipo di minaccia balistica, da quelle a corto e medio raggio a quelle intercontinentali, per contrastare eventuali lanci di missili dal Medio Oriente e dall’Asia centrale contro gli Stati Uniti. È sullo Scudo che Russia e Turchia sollevano le loro obiezioni.

La Nato sta tentando di lanciare un dialogo approfondito con Mosca: l’argomento centrale consiste nel dire che Nato e Russia non sono avversari ma condividono sfide comuni: vero ma fino a un certo punto. L’arrivo a Lisbona del presidente Dimitrij Medvedev è un passo avanti anche se dai russi arrivano segnali misti. Positivi sull’Afghanistan: la Russia è pronta ad ampliare le vie di transito per la Nato e potrebbe anche mettere a disposizione di Kabul elicotteri e addestratori, un ritorno modesto ma significativo degli shuravi dove negli anni 80 subirono una catastrofica sconfitta. Meno entusiasti i russi di vedere nuovi missili alle frontiere: «Apprezziamo – ha scritto sul Sole 24 Ore il ministro degli Esteri Serghej Lavrov – la proposta di Rasmussen di creare uno scudo congiunto ma la nostra partecipazione è possibile solo su una base paritaria, a ogni stadio».

Ma sullo Scudo, tra i 28 alleati, è la Turchia che serve convincere, il pilastro sul fronte sud-orientale dell’Alleanza dal 1952, che sta virando decisamente verso il Medio Oriente con la dottrina “zero problemi con i vicini” del ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, il quale anche al vertice del G-20 a Seul ha detto di «non considerare Teheran una minaccia». Ankara si è avvicinata all’Iran, vuole conservare un ruolo di mediatore sul nucleare e non gradisce le sanzioni contro Teheran. Soprattutto la Turchia non desidera di essere il primo bersaglio in caso di attacco. «Non ci interessa diventare il bastione di una nuova guerra fredda», dicono i turchi che chiedono un posto nella catena di comando dello Scudo e che i dati del sistema non siano accessibili a Israele.

Ma alla fine la Turchia forse non si opporrà, ottenendo che l’Iran non sia menzionato tra le minacce della Nato: il nome della repubblica islamica resterà così confinato, un po’ ipocritamente, tra i documenti classificati.

Fonte: Il Sole 24 Ore

19 novembre 2010

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