Iran, calma tesa


Junko Terao


Nonostante i divieti e la violenta repressione di giovedì continuano le dimostrazioni spontanee di dissenso a Teheran. Il governo impone regole più rigide per le manifestazioni e a capo delle indagini sui dimostranti arrestati mette un procuratore-torturatore. Intanto emerge l’ipotesi del governo di unità nazionale per uscire dalla crisi.


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Iran, calma tesa

Un mare di palloncini verdi liberati contemporaneamente in diversi punti di Teheran. La forma di protesta più spettacolare dall'inizio delle manifestazioni è stata massa a segno ieri, alle 13 in punto, l'ora in cui i fedeli uscivano dalle moschee dopo la preghiera del venerdì. All'indomani della violenta repressione di piazza Baharestan, l'iniziativa spontanea dei manifestanti iraniani e la velocità con cui il tam tam si propaga grazie al passaparola e a internet hanno ancora una volta dimostrato la loro efficacia. Per il portavoce del Consiglio dei Guardiani le ultime elezioni presidenziali sono state “le più trasparenti” di tutte, ma gli iraniani non ci stanno e, nonostante il divieto, anche ieri alcune centinaia di persone sono scese per strada per ricordare, in silenzio, le vittime della rivolta. Ma la paura è tanta, riferiscono i blogger, e uscire di casa è diventato molto pericoloso. Secondo un utente di Twitter, ieri una grande massa di persone è stata dispersa a manganellate dalle forze dell'ordine: erano vicino alla tomba di Neda, la donna assassinata domenica e diventata il simbolo della protesta. Sulle circostanze della morte di Neda ha fatto chiarezza ieri il medico che l'ha soccorsa. Arash Hejazi, che ora si trova in Gran Bretagna dove vive e studia, domenica era sceso per strada per dare un'occhiata alla manifestazione in corso. “La polizia in tenuta anti-sommossa si è scagliata sulla folla a bordo di motociclette, lanciando gas lacrimogeni – racconta alla Bbc, consapevole che dopo le sue dichiarazioni in Iran difficilmente potrà tornare -; ho sentito uno sparo e Neda, che era a un metro da me, si è accasciata a terra”. Il tentativo vano di soccorrerla e fermare l'emorragia, poi non c'è più stato niente da fare. Nel frattempo, racconta in dottore, alcuni manifestanti al grido di “l'abbiamo preso!”hanno individuato, braccato e poi rilasciato l'uomo che aveva sparato il colpo e che continuava a ripetere “non volevo ucciderla”: la prova che si trattava di un membro della milizia Basij è arrivata dalla sua carta d'identità. Arash Hejazi ha deciso di parlare “perché il sangue di Neda non sia stato versato invano”. La stampa governativa, con una tesi che rasenta la follia, avrebbe individuato invece il “vero” colpevole: secondo quanto riportava ieri il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat, diversi media hanno puntato il dito contro il corrispondente della Bbc, John Leyne, già espulso dal Paese. Il giornalista, secondo la stampa di Teheran, avrebbe assoldato un sicario per fare il grande scoop. Intanto al pugno di ferro delle forze dell'ordine si aggiungono nuove e rigidissime regole del ministero degli Interni per scoraggiare nuove manifestazioni: saranno i leader dei movimenti in persona a doversi presentare al ministero per chiedere formalmente, con una settimana di anticipo, il permesso di indire nuove dimostrazioni. Se gli iraniani vorranno continuare a scendere in piazza, insomma, dovranno farlo a loro rischio e pericolo. E la preoccupazione per la sorte dei manifestanti sale dopo l'allarme lanciato da Human Rights Watch a proposito del procuratore scelto per indagare sui disordini. Said Mortazavi è “tristemente noto” perchè implicato in casi di tortura e ritenuto responsabile della morte in carcere della fotografa Zahar Kazemi, irano-canadese. Secondo l'organizzazione il procuratore “cercherà in tutti i modi di strappare confessioni alle persone arrestate”. E ieri Ahmad Khatami, religioso conservatore vicino ad Ahmadinejad, ha chiesto “punizioni senza pietà” per i rivoltosi e “pena capitale” per i loro leader. Il governo non indietreggia di un millimetro e Barack Obama è tornato a condannare le violenze, “un oltraggio verso il popolo iraniano”. “I diritti degli iraniani di riunirsi, parlare, far sentire la loro voce, sono aspirazioni universali”, ha detto il presidente Usa, e Moussavi in questo senso ha “catturato la loro immaginazione”. Sui brogli è intervenuto il primo presidente dopo la rivoluzione del '79, Abolhassan Banisadr, oggi in esilio in Francia, che accusa: "Ci sono almeno 12 milioni di voti falsi a favore di Ahmadinejad, attribuiti sulla base di un numero presunto di partecipanti". Ma per Teheran la questione è chiusa e per uscire dalla crisi sui giornali arabi spunta l'ipotesi del “governo di unità nazionale”, che metta insieme conservatori vicini alla guida suprema della rivoluzione Ali Khamenei, riformisti e conservatori vicini all'Ayatollah Rasfajani. E chissà come ne usciranno i cittadini iraniani. Intanto Joan Baez ha dedicato loro una versione in farsi di “We shall overcome”.

Fonte: Lettera22 e il Riformista

27 giugno 2009

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