In viaggio sui monti Nuba


Francesco Cavalli


Non c’è pace nel Sud Sudan dopo la ripresa della guerra all’interno del Sudan stesso nell’area di confine fra i due nuovi stati, in Darfur, in Blue Nile e sui suoi monti Nuba del South Kordofan.


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“Per noi, popolo Nuba, le priorità sono tre: la prima l’educazione, la seconda l’educazione, la terza l’educazione”.

Così amava dire Yousif Kuwa Mekki, storico leader nuba morto nel 2001 dopo aver guidato il suo popolo nella lunga guerra fra nord e sud Sudan. Kuwa era un insegnante, un maestro prima di essere un comandante militare e le priorità del suo popolo le aveva chiare: libertà, autonomia culturale e sviluppo, e aveva anche molto chiaro che per ottenere questo era indispensabile superare l’arabizzazione forzata da Khartoum. Non è tanto una questione religiosa, molti Nuba sono musulmani, ma una questione di libertà: la libertà di essere musulmani per scelta e non per imposizione. Questo significa anche libertà di non essere musulmani. Infatti in South Kordofan ci sono anche cristiani così come nel North Kordofan, in Darfur nell’enorme Diocesi di El Obeid, la più estesa al mondo.

Così Yousif Kuwa decise che l’arma più efficace per combattere questa guerra di liberazione era l’educazione. Siccome era prima maestro che militare, scelse di aprire scuole di lingua inglese, aperte alla conoscenza del mondo oltre il solo Corano.
Lui non ebbe l’opportunità di vedere siglati gli accordi di pace del 2005, la loro attuazione con la proclamazione della nascita del Sud Sudan il 9 luglio 2011 e la ripresa della guerra all’interno del Sudan stesso nell’area di confine fra i due nuovi stati, in Darfur, in Blue Nile e sui suoi monti Nuba del South Kordofan.

Lo scenario attuale in questa vasta area non sembra essere molto mutato da quello degli oltre vent’anni di guerra, quelli della seconda guerra civile sudanese (1983-2005). Il periodo più tranquillo è stato quello che ha preceduto il luglio 2011. Viaggiando per le campagne dei monti Nuba, a marzo 2011, si trovava una vita di villaggio serena, una agricoltura in grado dsi sostenere la popolazione. Le scuole, quelle di Kuwa, regolarmente funzionanti e piene di studenti. Ma si stava preparando l’inizio di quella che sarebbe diventata la terza guerra sudanese (Iniziata 2011 e senza luce a fine del tunnel) . Le prime avvisaglie prima ancora del 9 luglio, poi il crescere degli scontri, la ripresa dei bombardamenti aerei da parte dell’esercito di Khartoum che si protraggono fino ad oggi.

Sono oltre 75mila i profughi scappati dal South Kordofan e accampati a Yida, appena all’interno del territorio del nuovo Sud Sudan. Molti altri scappano altrove. Dal Blue Nile in Etiopia e dal Darfur continuano a popolare i campi profughi del Chad. Quelli che hanno deciso di non abbandonare le proprie terre ormai vivono stabilmente in grotte e rifugi scavati nella terra per tentare di salvarsi dagli effetti dei bombardamenti.
La cronaca della guerra sembra ripetersi, come i numeri dei morti in graduale aumento. I fronti di combattimento delle tre aree si sono riuniti sotto un’unica sigla SFR (Sudan Revolutionary Front) sotto la presidenza di Malik Agar ed il coordinamento e comando unificato di Abdel Aziz Adam al-Hilu, leader del popolo Nuba ed erede del maestro Yousif Kuwa.

Lo scenario però sembra mutare, l’SFR ha cambiato negli ultimi mesi strategia. Sotto il comando unificato di Abdel Aziz hanno deciso di avanzare verso Khartoum e la presa temporanea di Umm Ruwaba, strategica località in North Kordofan sulla strada verso la capitale, ha messo sotto pressione Omar al-Bashir. La reazione militare continua ad essere quella di bombardare dal cielo, con gli Antonov riadattati ad aerei militari. Ma il governo sudanese sta preparando anche la difesa della capitale in risposta alle dichiarazioni dell’opposizione che ha l’obiettivo di rovesciare il regime, con ogni mezzo.
I combattimenti sono ancora aspri per il controllo di Kadugli, capoluogo del South Kordofan. Ma l’area che in queste settimane sta maggiormente subendo la guerra è il Blue Nile.

Il Sudan Tribune del 21 giugno riportava la notizia della probabile ripresa dei colloqui sulla situazione umanitaria, annuncio dato dall’ONU dopo avere valutato la grave situazione al Consiglio di sicurezza.

Foto di Francesco Cavalli
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Fonte: http://www.iljournal.it
1 luglio 2013

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