Immaginate… le nostre responsabilità


Piero Piraccini


Immaginate di essere ad un posto di blocco, uno dei tanti che Israele ha istituito (ce ne sono 32 solo a Betlemme, 600 nell’intera Cisgiordania) a tutela della sua sicurezza (?); di essere un palestinese che deve andare a lavorare nella parte israeliana…


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Immaginate... le nostre responsabilità

Immaginate di essere ad un posto di blocco, uno dei tanti che Israele ha istituito (ce ne sono 32 solo a Betlemme, 600 nell'intera Cisgiordania) a tutela della sua sicurezza (?); di essere un palestinese che deve andare a lavorare nella parte israeliana, con un contratto (quando c'è) che a parità di funzione di altri lavoratori ebrei, prevede un salario minore.
E di avere timore di arrivare in ritardo, per cui vi siete alzati molto prima del dovuto, perchè sapete che al posto di blocco è probabile siate controllati. E siete controllati per l'ennesima volta da cima a fondo e, a volte, umiliati per le perquisizioni e per le domande che vi vengono fatte dai militari preposti. Magari siete accompagnati da un vostro figlio (a Betlemme, come nell'intera Palestina, è certo che di figli ne avete più di uno) che ha la stessa età di quei militari che vogliono guardare per bene quei documenti che ogni giorno siete costretti ad esibire, perchè appartenete ad una razza inferiore, non c'è nulla da fare. E vedete l'amarezza ed il dolore di vostro figlio che vi vede umiliato non da un'entità superiore, chè allora ci potrebbe pur stare, ma da altri ragazzi come lui. Ed immaginate che questa storia si ripeta (può ripetersi) ogni giorno, per anni ed anni per migliaia di persone come voi.
Oppure immaginate di essere un palestinese la cui casa, insistendo su un terreno una volta appartenente alla Giordania ed oggi ad Israele – e che voi chiamate Palestina – vi viene tolta a favore della famiglia di un colono ebreo. Che i militari israeliani arrivino di notte e voi, coi vostri 38 parenti così, di punto in bianco, in nemmeno un'ora, vi troviate sulla strada, voi con alcune cose che avete trascinato fuori. E che lì fuori, per ora sotto una tenda di fortuna, aspettiate non sapete cosa non sapete chi, perchè nessuno può aiutarvi. E questo moltiplicatelo per migliaia di casi come il vostro.
Oppure immaginate di essere con la vostra famiglia, almeno quella parte che è sopravvissuta alle bombe israeliane di alcuni mesi fa, nella vostra casa diroccata a Gaza. Di poter usare acqua potabile solo alcune ore la settimana. Di avere davanti a voi un mare bellissimo che, tuttavia, costituisce un lato della vostra prigione: gli altri sono costituiti da Israele, dal cielo e dal valico di Rafah. Di non vedere alcuna delle ricostruzioni promesse dalla comunità internazionale perchè Israele non lascia passare neppure un kg di cemento. Di vedere ospedali, scuole, servizi pubblici funzionanti solo alcune ore al giorno perchè manca l'elettricità o non funzionanti per mancanza di energia, come il depuratore della città che versa i suoi liquami nel vostro bel mare. E di appartenere all'80% di popolazione che vive in povertà perchè la guerra recente ha distrutto ogni possibilità di lavoro.
Poi andate a visitare, anzi: a camminare attoniti quel lungo percorso che costituisce il museo Yad Vashem, costruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, dove sono raccolte le testimonianze dell'indicibile, di quelle vite prima annullate poi uccise dal nazismo. E terminate il vostro cammino in una sorta di balcone che dà su un vuoto che è più profondo di quello fisico, che provoca vertigini perchè la mente è ancora a quelle immagini viste prima.
E poi, magari, accompagnati da un refusnik che ha passato in carcere gran parte dei tre anni che ogni giovane ebreo deve passare nell'esercito, siete a visitare una colonia di ebrei, una delle tante costruite attorno a Gerusalemme nei territori occupati (dicono i palestinesi), nei territori contesi (dice il colono che vi accompagna), nei territori liberati  (dice, ironico, a parte). Insediamenti di 40000 persone in un luogo che prima era deserto ed oggi è un giardino d'erba, di fiori, di case belle e ricche; pulizia per ogni dove.
Infine vi trovate davanti a due persone appartenente ai Parents Circle, l'associazione di palestinesi ed ebrei che ha visto la morte di un loro familiare ed ha reagito decidendo che l'unica alternativa alla violenza subita è la nonviolenza. Che – lo dice la madre ebrea – ai bambini israeliani i quali pressochè tutti hanno compiuto viaggi all'estero, occorre spiegare l'esistenza anche di bambini palestinesi, di campi profughi, di villaggi privi d'acqua e lontani dalle scuole ore di cammino. E poi quel muro già condannato dalla Corte internazionale di giustizia che costituisce una violenza ai palestinesi ed alla ragione di ogni essere pensante.
Ecco, immaginate tutte queste cose ed avrete un'idea pallida di cos'è Israele e cos'è la Palestina vista da 400 persone che vi si sono recate alcune settimane fa nella più grande delegazione di pace che la nostra storia ricordi. Davanti ad una flebile Europa che non fa nulla per richiedere di onorare gli accordi già stipulati con Israele, ad esempio pretendendo che siano rispettati i diritti umani. Nell'assenza del Governo italiano, non coperto dalla presenza del console e dell'ambasciatore.
Nell'assenza delle amministrazioni della nostra provincia. Nella sostanziale assenza delle forze politiche.
E' uno sguardo troppo corto quello che permette di vedere solo i propri giorni, impegnati ad affrontare problemi tutti veri, sì, ma privi di quella cornice che gli dà sostanza perchè li proietta in una visione a lungo termine. Erano altri i tempi in cui questa era la lente attraverso cui i fatti erano letti dalla politica e, perciò, muovevano le coscienze. Erano tempi in cui un Berlusconi qualunque sarebbe stato messo alle porte il giorno stesso della sua apparizione. Erano i tempi della responsabilità.             

Di Piero Piraccini

27 ottobre 2009

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