Il bavaglio della libertà


Don Luigi Ciotti


Vittime del disegno di legge sulle intercettazioni, che si vuole approvare in gran fretta mentre il paese è distratto dalle vacanze, sarebbero proprio queste: cultura, libertà, spirito di verità.


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Il bavaglio della libertà

«Non vi è cultura senza libertà, ma non vi è neppure cultura senza spirito di verità». Sono parole di Norberto Bobbio, quanto mai attuali. Perché vittime del disegno di legge sulle intercettazioni, che si vuole approvare in gran fretta mentre il paese è distratto dalle vacanze, sarebbero proprio queste: cultura, libertà, spirito di verità. Nessuno nega che la privacy delle persone debba essere tutelata, e lo stesso codice deontologico dell’informazione invita, all’articolo 6, a rispettarla. Ma in questo caso la difesa della privacy c’entra ben poco.

Il disegno ha altre mire, e cioè quelle di allargare la sfera d’impunità e immunità di pochi, colpendo la capacità d’indagine della magistratura e il potere di controllo dell’opinione pubblica. Si vuole avvolgere il potere politico di segretezza, si vogliono abbattere le istituzioni di controllo che impediscono a una democrazia di degenerare in dispotismo, si vuole sottrarre ai cittadini il diritto di informare e essere informati, trasformandoli in una folla di sudditi ignari, compiacenti, manipolabili. Soprattutto si vuole formalizzare e sancire come legge dello Stato una deriva in atto già da molto tempo. Siamo un paese in cui l’informazione è fortemente condizionata.

Per tanti bravi giornalisti che non si sono piegati al ricatto dei monopoli e del mercato, che hanno tenuto duro per difendere la propria e altrui dignità, altri sono venuti meno al dovere d’informare prestando il fianco alle strumentalizzazioni, alle omissioni, ai silenzi. La notizia di una condanna per concorso in associazione mafiosa montata ad arte e spacciata come una vittoria è solo l’ultimo capitolo di questa storia. Penso allora ai Giancarlo Siani, ai Pippo Fava, ai Mauro Rostagno, ai Mauro De Mauro. Penso a Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Beppe Alfano e a tutti i giornalisti uccisi dalle mafie. Ma penso anche ad Alfredo Frassati, fondatore del quotidiano della mia città, la Stampa.

Ostile al fascismo, che lo costrinse a lasciare il giornale, scriveva sull’istituto della “diffida”, potente mezzo dato dal regime ai prefetti per censurare notizie “danneggianti il credito nazionale”: «non è davvero scandalismo quello che compie, in questi giorni, la stampa libera e onesta; ma opera necessaria di purificazione e di liberazione». E concludeva: «sono queste cose così ovvie che si è veramente mortificati – come italiani – a doverle scrivere». È la stessa mortificazione che si prova oggi a vedere intimiditi il pluralismo dell’informazione, l’indipendenza della magistratura, il diritto dei cittadini a conoscere, capire, scegliere consapevolmente. Cioè i capisaldi di una democrazia che ha alle spalle la lotta, l’impegno e il sacrificio di chi si è battuto per la nostra libertà. È una buona notizia allora che tanti si stiano mobilitando per fermare una legge che tutela l’illegalità e che le stesse mafie festeggerebbero come un regalo. Perché non a tutto si può mettere il bavaglio e il silenziatore. Non certo alla vita e a ciò che la rende degna di essere vissuta. Come ci ricordava Bobbio: la libertà, la consapevolezza, lo spirito di verità.

Fonte: l'Unità

editoriale, 2 luglio 2010

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