I talebani aprono un ufficio a Qatar


Joseph Zarlingo


Confermata ufficialmente la decisione di creare una sede fuori dall’Afghanistan per i negoziati con gli Usa. Karzai segue con preoccupazione.


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I talebani aprono un ufficio a Qatar

I rumors giravano da tempo e si erano fatti più consistenti a ridosso della conferenza internazionale di Bonn, all’inizio di dicembre. Avevano anche provocato una piccata reazione del presidente afgano Hamid Karzai, che accusava Stati Uniti e Germania di averlo scavalcato e aver discusso la questione direttamente con il Qatar, «senza aver dato al governo afgano tutte le informazioni». Da ieri, invece, è ufficiale: i Talebani apriranno a Doha un “ufficio di collegamento”, una sorta di camera iperbarica per i negoziati, al riparo dalle pressioni di Kabul. Lo ha confermato all’emittente qatariota Al Jazeera il portavoce dei Talebani, Zabihullah Mujahid, dopo che Voice of Jihad, uno dei siti web usati per le comunicazioni del movimento, aveva diffuso una nota in cui si diceva che «dopo colloqui preliminari con tutte le parti interessate, compreso il Qatar», era stata presa la decisione di «avere un ufficio politico fuori dal paese per i negoziati».
Karzai all’inizio di dicembre aveva ritirato l’ambasciatore afgano dal Qatar, proprio per protestare contro l’idea con i turbanti neri si potesse discutere altrove rispetto all’Afghanistan. Alcune settimane di pressione diplomatica, però, gli hanno fatto cambiare idea e tre giorni dopo Natale, il presidente ha accettato, in una nota ufficiale, che «avere un indirizzo esatto per l’opposizione è passo concreto verso l’avvio dei negoziati». Karzai avrebbe preferito un’altra sistemazione, in Turchia o in Arabia saudita, ma Washington ha premuto perché fosse il meno ingombrante, ma non meno attivo Qatar ospitare l’ufficio. Non è, ovviamente, solo questione di dove si tengano i negoziati ma anche di chi parli con chi. Nel loro comunicato, infatti, i Talebani scrivono che «le due parti principali» coinvolte nei «problemi attuali» in Afghanistan, sono «l’Emirato islamico dell’Afghanistan e gli Stati Uniti con i loro alleati». I timori di Karzai di essere estromesso dalla scena, dunque, non sono del tutto infondati.
Kabul, perciò, segue con molto nervosismo le notizie sulle trattative dirette tra emissari di Washington e delegazioni talebane. Ufficialmente, queste trattative non dovrebbero esistere ed entrambi i fronti le negano, visto che i turbanti neri sono nella lista delle organizzazioni terroristiche della Casa bianca. Eppure, sia i media pakistani quanto quelli arabi, hanno ripetuto più volte che contatti informali sono in corso fin dall’autunno. In quel periodo, proprio a Doha, funzionari statunitensi avrebbero incontrato una delegazione di Talebani guidata da Tayyeb Agha, già segretario del Mullah Omar. L’ufficio di Doha, dunque, faciliterebbe le trattative tra Usa e Talebani, rese praticabili sia dal corso “nazionalista” assunto ormai stabilmente dalla leadership talebana, sia dalle aperture statunitensi, esemplificate dalle recenti dichiarazioni del vice presidente Joe Biden. Il 20 dicembre scorso, in un’intervista a Newsweek, Biden aveva detto che «i Talebani di per sé non sono nemici degli Stati Uniti, ma lo diventano quando seguono Al Qaida per colpire gli interessi statunitensi».
Nell’anno elettorale statunitense appena avviato, Karzai dovrà probabilmente ingoiare anche un’accelerazione dei negoziati stessi – seguiti peraltro con molta attenzione anche dalle organizzazioni della società civile afgana, che temono che, pur di portare a casa un qualche risultato politicamente comunicabile come “accordo”, gli Usa siano pronti a mollare alcuni temi, a partire dai diritti delle donne.
A Kabul, invece, l’altro negoziato, quello nazionale afgano, segna il passo. Dopo l’assassinio del presidente dell’Alto consiglio di pace, Buranuddin Rabbani, a settembre scorso – omicidio per il quale i Talebani continuano a negare ogni responsabilità – il negoziato è sostanzialmente in stallo. E ciò indebolisce tanto gli anatemi di Karzai contro le interferenze internazionali – da Washington a Islamabad – nel processo di riconciliazione nazionale, quanto la possibilità che nella camera iperbarica di Doha ci sia un posto anche il palazzo presidenziale di Kabul.

Fonte: Lettera22 e Il Riformista 

4 gennaio 2012

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