"Ho rivisto l’apartheid nei check-point della Cisgiordania"


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Intervista a Desmond Tutu. Il nobel per la pace: "Centinaia di posti di blocco umiliano i palestinesi. La sicurezza non è questa, Israele faccia tesoro della storia del Sudafrica".


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"Ho rivisto l’apartheid nei check-point della Cisgiordania"

“In Sudafrica hanno cercato di ottenere la sicurezza dalla canna del fucile. Non l’hanno mai avuta. Perché la sicurezza per una parte non può essere realizzata con la sofferenza, l’umiliazione, le punizioni collettive inflitte ad un’altra parte della popolazione o ad un popolo che rivendica la propria libertà e autodeterminazione. E’ una lezione della storia di cui Israele dovrebbe far tesoro. Purtroppo ancora non è così”. A parlare è colui che assieme a Nelson Mandela, è stato l’uomo simbolo della lotta al regime segregazionista sudafricana: Monsignor Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace nel 1984. Nei giorni scorsi, Tutu ha visitato Israele e la Cisgiordania  assieme ad altri Nobel per la Pace, tra i quali l’ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. L’Unità ha avuto modo di rivolgergli alcune domande.

Monsignor Tutu, Lei ha visitato più volte i Territori occupati. In una nostra passata conversazione, Lei ha denunciato la condizione disperata in cui vera la popolazione di Gaza. In questo viaggio, Lei ha visitato la Cisgiordania. Qual è la cosa che più l’ha colpita?

“I check-point. Sono centinaia e spezzano la Cisgiordania in centinaia di frammenti territoriali. Quei check-point, assieme al Muro, isolano villaggi, spezzano comunità; quei check-point sono l’espressione di un dominio che segna la quotidianità di decine di migliaia di palestinesi. Li prostra, li umilia. Essi mi riportano indietro nel tempo, al Sudafrica dell’apartheid”.

Un parallelo pesante, monsignor Tutu.

“Lo so e me ne dispiaccio, ma la realtà è questa. Ed è una realtà in cui un soldato può ergersi a giudice ed emettere sentenze senza appello. E’ un arbitrio che spesso si rivolge contro anziani, donne, che non chiedono di entrare in Israele ma di raggiungere un villaggio nella Cisgiordania…”.

Israele giustifica questa pratica in nome della sicurezza…

“E’ un approccio errato, oltre che profondamente ingiusto. E’ l’impotenza della ragione mascherata con l’esercizio della forza. E’ un’illusione, una tragica illusione. E’ quello che provo a ripetere ai miei amici israeliani ed ebrei: Israele non potrà mai ottenere la sicurezza attraverso recinzioni, i muri, i fucili. La sicurezza potrà essere realizzata solo quando i diritti umani di tutti saranno riconosciuti e rispettati. E’ una lezione della storia che viene dal mio paese, il Sudafrica”.

Assieme ad altri Nobel per la Pace, lei ha incontrato i pacifisti palestinesi e israeliani che animano le proteste nel villaggio di Bi’ilin contro la costruzione del Muro.
“La loro è una testimonianza straordinaria di resistenza non violenta. Agli attivisti di Bi’ilin ho portato la mia solidarietà e il mio sostegno, ricordando loro che con la non violenza Gandhi riuscì a sconfiggere l’impero britannico e Martin Luther King a portare avanti la lotta per i diritti della gente di colore negli Usa. La disobbedienza civile è la giusta via per far valere i diritti di una comunità, di un popolo. E’ una scelta coraggiosa, lungimirante, eroica. Essa va sostenuta da ogni persona che crede davvero nella pace e nella giustizia”.

Lei parla di disobbedienza civile, ma tra i palestinesi sono ancora in molti a perorare, e praticare, la lotta armata.

“In passato ho avuto modo di interloquire con i dirigenti di Hamas. A loro ho ripetuto che sparare missili contro le città israeliane ai confini con Gaza era doppiamente sbagliato: perché è sempre sbagliato colpire civili e perché quelle azioni avrebbero rafforzato quanti in Israele ritengano che esista una soluzione militare alla questione palestinese. La realtà, purtroppo, mi sta dando ragione. Mi lasci aggiungere, però, che non c’è giustificazione alcuna ai crimini di guerra compiuti nella Striscia da Israele durante l’operazione denominata “Piombo fuso”. A denunciarlo sono le agenzie Onu impegnate a Gaza e le più importanti associazioni umanitarie internazionali. A confermarlo sono anche le testimonianze di diversi soldati israeliani impegnati nelle operazioni militari. Resto convinto che l’unico modo per porre fine alle violenze e all’ingiustizia è che israeliani e palestinesi si siedano attorno a in tavolo per cercare insieme un compromesso accettabile per le due parti. Non esistono scorciatoie al dialogo”.

Una affermazione che riecheggia quanto più volte affermato dal presidente Usa Barack Obama.

"Nutro molte speranze nel presidente Obama. Mi ha molto colpito il suo discorso del giugno scorso al Cairo. Obama ha creato molte aspettative nel mondo arabo, tra i palestinesi. Sta a lui non deluderle. Per questo è importante che passi al più presto dalle parole ai fatti".

Dialogo e di negoziato. Con dentro o fuori Hamas?

“I conflitti si risolvono trattando con i nemici, non con gli amici”.

Fonte: L'Unità

2 settembre 2009

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