Guerre, protesta, patriarcato. I diritti umani nel mondo


La redazione


AMNESTY INTERNATIONAL. Il rapporto 2022-2023. L’aggressione dell’Ucraina, i doppi standard dell’Occidente, violenza di genere


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Se il rapporto 2022-2023 di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo avesse un titolo, osserva il portavoce Riccardo Noury, sarebbe «Guerra, protesta, patriarcato».

La guerra, naturalmente, è quella tornata sul suolo europeo con l’aggressione dell’Ucraina – «abbiamo fatto oltre 17 rapporti sulla situazione in Ucraina, cercando di occuparci di tutte le violazioni dei diritti umani: dalle esecuzioni extragiudiziali agli attacchi gratuiti e deliberati alle infrastrutture civili e l’uso di armi proibite», dice il presidente di Amnesty Italia Emanuele Russo – che espone anche quello che l’organizzazione definisce «il vergognoso doppio standard» di cui ha dato prova l’Occidente.

La compattezza dimostrata contro l’invasione russa manca nei confronti di «altri contesti non meno pericolosi e cruenti», afferma Russo. «Penso in particolare a ciò che accade in Egitto, in Israele, Arabia saudita, o in teatri di guerra dimenticati come lo Yemen o l’Etiopia». Ed è il doppio standard anche nei confronti dei rifugiati: «Abbiamo accolto giustamente quelli ucraini ma senza fare lo stesso con quelli che lasciamo morire nel Mediterraneo», dice la direttrice generale di Amnesty Italia Ileana Bello.

UN PARTICOLARE focus del rapporto 2022-2023 è sulle proteste della società civile, sotto attacco in buona parte dei 156 paesi presi in esame. «La protesta pacifica – afferma Noury – è uno degli strumenti più importanti per il cambiamento, basta guardare a quello che sta succedendo in Israele. Per questo i governi la temono e cercano di limitarla». Come dimostrano i numeri presentati dal rapporto: sono almeno 85 (il 54% del totale) gli stati che fanno un uso illegale della forza contro manifestanti pacifici. E in almeno 33 stati (21%) ci sono state uccisioni illegali di manifestanti.
Sono poi 67 i paesi, sottolinea Noury, dove contro chi protesta si fa uso di armi meno letali – proiettili di gomma, idranti ecc. – una definizione fuorviante «perché ci vuole poco affinché diventino letali». Per questo Amnesty chiede un Trattato per un commercio libero dalla tortura che «vieti la produzione e il commercio di equipaggiamenti per le forze di sicurezza intrinsecamente atti a commettere violazioni dei diritti umani». Ma, aggiunge il portavoce, non è solo con la violenza che si reprime il dissenso: «Una costante del rapporto è la narrazione stigmatizzante di chi protesta, per produrre inimicizia nella popolazione».

E PERVASIVA è anche la negazione della repressione, come di recente abbiamo potuto osservare in Perù «dove l’operato della polizia è intriso di razzismo e classismo», o in Iran dove si è arrivato a sostenere che le vittime della repressione delle proteste scoppiate per l’omicidio di Mahsa Amini «fossero state morse da cani con la rabbia, o cadute per le scale – una negazione dell’evidenza di cui in Italia sappiamo qualcosa» commenta Noury facendo riferimento all’omicidio di Stefano Cucchi (la condanna in Cassazione dei due carabinieri colpevoli della sua morte è citata dal rapporto fra le “buone notizie” per i diritti umani del 2022).

La protesta in Iran è uno degli eventi in cui emerge il terzo “protagonista” del rapporto, il patriarcato, la violenza di genere e contro la comunità Lgbtqia+ che si manifesta diffusamente dall’Afghanistan – «una società mutilata» dove «donne, ragazze e bambine sono state cancellate dallo spazio pubblico» osserva Ilaria Masinara – agli Stati Uniti dove la Corte suprema ha cancellato il diritto federale all’aborto. O in America latina, dove contro le migranti venezuelane c’è una «discriminazione intersezionale», per il loro genere e la loro provenienza.

LA TUTELA dei diritti della comunità Lgbtqia+ e del diritto delle donne ad abortire (in un paese dove in alcune regioni il 100% dei medici ginecologi è obiettore) sono fra quelle che Bello e Noury definiscono le «occasioni mancate» dell’Italia nel 2022: una legge per la cittadinanza dei figli di stranieri cresciuti qui, la nascita di un’autorità per la tutela dei diritti umani (che fra tutti i paesi europei manca solo da noi e a Malta), una norma contro la discriminazione come il naufragato ddl Zan. E ancora la scelta di rinnovare il memorandum d’intesa con la Libia contro i migranti, e l’inazione contro il cambiamento climatico – uno dei temi più ricorrenti del rapporto in un mondo che si avvicina sempre più al «punto di non ritorno».

Giovanna Branca – 28 marzo 2023

Fonte: Il Manifesto

 

 

 

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