Giornata mondiale della popolazione: dietro ai numeri, le persone


Andrea Dalla Palma


L’11 luglio 1987 fu data storica: l’umanità superò la soglia dei cinque miliardi di individui presenti sulla terra. Due anni dopo, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) fissò l’11 luglio come Giornata Mondiale della Popolazione.


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Giornata mondiale della popolazione: dietro ai numeri, le persone

L’11 luglio 1987 fu data storica: l’umanità superò la soglia dei cinque miliardi di individui presenti sulla terra. Due anni dopo, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) fissò l’11 luglio come Giornata Mondiale della Popolazione. Oggi il pianeta si sta preparando a fare spazio a sette miliardi di persone. Secondo le stime, accadrà in ottobre di quest’anno. Tra una trentina d’anni saremo nove miliardi.
Va bene, siamo in tanti, a maggior ragione se ospitati su di un pianeta dalle risorse esauribili, che ancora non abbiamo imparato a gestire e rispettare. Ma si può andare oltre alle cifre e alle stime? Abbiamo provato a dividere la popolazione in categorie, forse banalizzanti, sicuramente non esaustive. Ma su cui provare a riflettere.
Uomini – donne. Lo dice il terzo degli Obiettivi di sviluppo del Millennio: l’emancipazione femminile e la piena parità di diritti tra uomo e donna sono tra le principali chiavi dello sviluppo. Eppure al giorno d’oggi, il 70% delle persone costrette a vivere in povertà è costituito da donne, nonostante queste ultime, al contrario di quando si pensi, rappresentino una forza lavoro numericamente superiore a quella maschile. La povertà e la mancanza di diritti hanno, in buona parte del pianeta, un volto femminile.
Occupati – disoccupati. La crisi economica degli ultimi anni ha solo accentuato il problema, ma il diritto al lavoro – dignitoso e sicuro – è un diritto negato già da lunga data. Alla mancanza di opportunità per i giovani delle nostre economie si aggiungono quanti, nei sud del mondo, lavorano venti ore al giorno non guadagnando che pochi dollari. A pensarci bene, nel mondo globale, non è più solo un problema di paesi in via di sviluppo. Qualcuno ricorda ancora i fatti di Rosarno? E che dire dell’economia informale, del lavoro nero, dello sfruttamento degli immigrati sui posi di lavoro?
Bianchi – neri. Nell’immaginario collettivo, il binomio coincide con persone per bene, educate, erudite ed istruite, che di tanto in tanto sentono il bisogno di pulirsi la coscienza aiutando persone povere, che faticano ad esprimersi, vivono chissà come e probabilmente hanno poca voglia di fare. Un sms solidale, qualche monetina per l’extracomunitario sotto casa, o container pieni zeppi di cose che non ci servono più da spedire il più lontano possibile. Si chiama assistenzialismo e serve a poco. C’è poi anche chi questo bisogno non lo sente nemmeno e il nero sotto casa lo disprezza. Si chiama razzismo ed è un fenomeno pericoloso.
Adulti – minori. Un terzo dell’umanità è costituita da minori. La popolazione è particolarmente giovane in Asia, Africa e America Latina. Zone può significare fare i conti fin da bambini con lavoro, matrimoni forzati, armi, abusi sessuali, prostituzione. La Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza rimarca come la quotidianità di un minore dovrebbe essere caratterizzata dal diritto allo studio, al gioco e alla salute . Si dice che i giovani costituiscano il futuro dell’umanità; ma esiste futuro senza presente?
Giovani – anziani. Il rapido aumento della popolazione mondiale non è frutto solamente dell’aumento delle nascite ma anche di una maggiore longevità. I progressi in campo medico fanno si che le persone vivano e, presumibilmente, vivranno sempre più a lungo. Tale successo non sembra però supportato da adeguate politiche sociali. A che serve vivere di più se gli anziani sono considerati un peso, anziché una risorsa? Vivere soli e senza un adeguato supporto economico è un vivere dignitoso?
Cittadini – clandestini. L’umanità del nuovo millennio è sempre meno sedentaria, tra chi si sposta per studio, lavoro, famiglia, o per sfuggire da guerre, fame, violenze e povertà. O, cambiando prospettiva, tra chi decide di cambiare aria e chi è costretto a farlo. I primi sono i benvenuti, i secondi dipende: l’immigrato va bene finché lavora e non proferisce parola. Se privo di regolare documento ancora meglio: chi, con la prospettiva di un’espulsione, alzerà mai la voce per far valere i propri diritti di essere umano? A proposito di cittadini, l’augurio più grande va oggi a quelli dell’ultimo tra i Paesi nati: il Sud Sudan.
Sazi – affamati. Sarà una dizione un po’ retrò, da pionieri dell’aiuto umanitario, ma la fame nel mondo esiste eccome. È appurato come sia il risultato non della mancanza di risorse, bensì di una iniqua distribuzione delle stesse. La fame è la prima forma di schiavitù, poiché con la pancia vuota non si lavora e non si studia. Nessun container con pacchi di riso, lattine di tonno e fagioli in scatola da spedire, solamente regole di mercato da modificare.
Bancabili – non bancabili. C’è chi ironicamente afferma che le banche siano quei soggetti che ti imprestano l’ombrello quando c’è il sole e lo rivoglio indietro quando piove. Di certo c’è che senza garanzie, nessuno ti finanzia. Poco importa se, a rigor di logica, qualcuno ha bisogno di un prestito perché di soldi non ne ha a sufficienza. Ecco quindi che, con due miliardi di poveri al mondo, anche un credito diventa un lusso per pochi. Lo strumento del microcredito prova ad invertire questo paradosso. In alternativa, il pozzo senza fondo di strozzini ed usurai.
Liberi – schiavi. La schiavitù esiste ancora, ha forse perso la forma di fruste e catene ma conduce ugualmente alla miseria. Comprende tutto quando detto finora. Rende schiavi la povertà, la fame, la malattia, la disoccupazione, l’analfabetismo, il pregiudizio, l’usura la droga, la violenza, la prostituzione, la clandestinità. In generale, ciò che impedisce l’autodeterminazione, emarginalizza e si presta al ricatto.

Fonte: Unimondo.org

11 luglio 2011

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