Ginevra 2: Fra insulti e accuse parte la trattativa


Maurizio Molinari


Kerry va all’attacco “Assad vada via, non escluso intervento”. Il ministro degli Esteri di Damasco: opposizione di macellai. Gli insorti: basta morti, serve soluzione politica. Appello alla pace del Papa.


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La conferenza di pace sulla Siria inizia con uno scontro duro sul futuro di Bashar al Assad. Quando i delegati di quasi 40 Paesi si siedono attorno al tavolo è Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, a riceverli e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a presentare una piattaforma di dialogo: «I colloqui fra le parti siriane non saranno né semplici né veloci ma sono una possibilità di raggiungere la pace, rispettiamo la sovranità della Siria».

Il ruolo assegnato a Lavrov, che interviene prima dell’americano John Kerry, riconosce a Mosca il merito di aver più di altri contribuito a riunire le parti in guerra da tre anni. Ma quando a parlare è Walid Muallim, ministro degli Esteri di Assad, diventa evidente che Damasco non raccoglie l’invito russo al dialogo: «La rivoluzione siriana è opera di terroristi macellai finanziati dagli sceicchi, ci batteremo ad ogni costo perché la Siria non può essere guidata da traditori al servizio del nemico». Poco dopo è il ministro dell’Informazione, Omran al Zoabi, a aggiungere: «Assad non lascerà il potere, è il nostro presidente e resta tale». Muallim sfora di cinque minuti il limite per gli interventi, Ban Ki-moon lo riprende e lui ribatte: «Io vivo in Siria, lei a New York, faccia parlare me». Il tono di disprezzo descrive l’approccio di Damasco.

La replica è di Ahmed Jabra, il leader della Coalizione dei ribelli che ha esitato a sedersi al tavolo. «Il nostro esercito ha liberato molte regioni, dopo 200 mila morti e 9 milioni di profughi serve una soluzione politica per salvare il nostro Paese – dice Jabra – ma non abbiamo un interlocutore, il tempo è essenziale perché in Siria il tempo è sangue». Kerry gli dà manforte: «Assad non può far parte della transizione, è lui il magnete del terrorismo ed è lui che ha risposto con la violenza alle prime pacifiche proteste nel 2011».

Il convitato di pietra è l’Iran, che non è venuto al fine di ribadire il sostegno ad Assad. Per Emma Bonino, ministro degli Esteri, «è un’autoesclusione da superare» perché «la soluzione della crisi è responsabilità di tutti, Iran incluso». Ma il ministro saudita Saud al Faisal è perentorio: «Teheran deve ritirare soldati ed Hezbollah dalla Siria». In serata i lavori della sessione internazionale si concludono passando il testimone al mediatore Onu Lakhdar Brahimi che oggi vedrà le due delegazioni siriane per concordare le modalità dei colloqui diretti previsti a Ginevra da domani. La strada è in salita: non è sicura neanche la presenza delle due parti nella stessa stanza. Ma lo spiraglio c’è. «Andiamo a dialogare» promette Muallim.

Fonte: www.lastampa.it
23 gennaio 2014

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