Foto ricordo con cadavere


Marina Mastroluca - unita.it


In un’aula di tribunale potrebbero forse invocare come circostanze attenuanti i 35 compagni morti in un anno di servizio al fronte, 23 uccisi dai kamikaze o da quei micidiali ordigni artigianali che in Afghanistan fioriscono sulle strade polverose.


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Foto ricordo con cadavere

In un’aula di tribunale potrebbero forse invocare come circostanze attenuanti i 35 compagni morti in un anno di servizio al fronte, 23 uccisi dai kamikaze o da quei micidiali ordigni artigianali che in Afghanistan fioriscono sulle strade polverose. Come in un film già visto troppe volte, spuntano dalla tragedia afghana nuovi trofei a stelle e strisce, 18 foto che sono un atto d’accusa. «Militari americani posano con parti smembrate di attentatori afghani», titola il Los Angeles Times, che in prima pagina mostra un soldato sorridente con una mano sulla spalla, quella di un cadavere dagli occhi sbarrati steso dietro a lui. Più cruda la foto che lo stesso quotidiano pubblica sul suo sito web: foto di gruppo di agenti della polizia afghana e di militari Usa con occhiali da sole e sorriso d’ordinanza. Tra le mani, tenute sollevate con un pezzo di corda, le gambe mozzate di un attentatore suicida.

Obama ordina un’indagine, i responsabili saranno puniti. Due sole le foto pubblicate, ma ce ne sono altre nel pacchetto consegnato al giornale da un militare americano, dietro garanzia dell’anonimato e la premessa che il suo scopo era di denunciare i rischi connessi alla mancanza di leadership e di disciplina tra le truppe Usa.

Da un pezzo quelle immagini giravano tra i militari, ci si scherzava sopra. Sono state scattate durante operazioni di servizio in Afghanistan, nel 2010. Quella delle gambe mostrate come un trofeo di pesca risale al febbraio 2010. I militari Usa, dell’82esima divisione avio-trasportata, inviati ad una stazione di polizia della provincia di Zabul, avevano il compito di scannerizzare l’iride del kamikaze morto e prelevare le impronte digitali, per tentare l’identificazione. Le cose poi hanno preso una piega diversa, troppo forte la tentazione della foto ricordo con i resti umani. Pochi mesi più tardi, in circostanze analoghe, una nuova serie di scatti con i corpi di tre insorti, saltati in aria con l’ordigno che stavano preparando per colpire una stazione di polizia. Due soldati Usa si sono messi in posa mostrando una mano mozzata con il dito medio alzato. Un altro si è chinato su un cadavere e si è fatto fotografare mentre gli stringeva la mano, come se si presentasse. Vicino a un altro corpo è stata messa una falsa mostrina dell’82esima divisione con la scritta «Cacciatore di zombie».

IDENTIFICATI I MILITARI

Le foto, si è affrettato a far sapere il segretario alla Difesa Leon Panetta, non rappresentano «la professionalità della larga maggioranza delle forze Usa impegnate oggi in Afghanistan». Il capo del Pentagono condanna il «comportamento folle» e chiede scusa. Aveva chiesto al Los Angeles Times di non pubblicare le immagini, il rischio di ritorsioni è sempre dietro l’angolo su un terreno così insidioso come quello afghano. Anche il generale John Allen, comandante delle forze internazionali, condanna i trofei fotografici e si dice pronto a collaborare con le autorità afghane per un’inchiesta. Molti dei militari coinvolti sono già stati identificati.

La fermezza della condanna non rivela solo imbarazzo, ma anche il timore che le foto possano innescare una nuova spirale di violenza. Gli ultimi mesi sono stati difficili. Nel gennaio scorso ha fatto scandalo il video che mostrava marine americani mentre orinavano sui cadaveri di tre talebani uccisi. A febbraio c’è stato il rogo – involontario si disse – di diverse copie del Corano nella base Usa di Bagram: 30 civili afghani e sei militari americani uccisi negli incidenti che ne seguirono. A marzo la carneficina del sergente Robert Bales: un massacro immotivato in due villaggi, 17 civili uccisi, molti erano bambini. Le foto con i corpi smembrati sono solo un’altra pagina di un libro di nefandezze. Episodi inaccettabili, secondo Hamidullah Tokhi, deputato della provincia di Zabul. Sono cose come queste, dice, a spingere la gente «ad andare in montagna con i Talebani».

Fonte: www.unita.it
20 Aprile 2012

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