Femminicidi: 149 donne uccise nel 2016


amelia rossi


Il 30 settembre manifestazione nazionale della Cgil contro la violenza maschile


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corteo.femminicidio

Secondo le elaborazioni Istat sui dati del ministero dell’Interno, sono state 149 le donne vittime di omicidi volontari nel 2016 in Italia. Se si esamina la relazione autore/vittima, di quei 149 omicidi di donne nel 2016, quasi 3 su 4 sono stati commessi nell’ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente. Questi alcuni dei dati presentati da Giorgio Alleva, presidente dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) in audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere.

Nell’ultimo decennio, in Italia, la quota di omicidi avvenuti in ambito familiare ha oscillato da un minimo del 63% (62,7%) nel 2010 ad un massimo del 77% nel 2014, per poi scendere al 73,2% nel 2016. “Le differenze di genere sono sostanziali – spiega Alleva – sempre nel 2016, i maschi vittime di omicidio sono 251 e tra questi 40, il 16% circa (15,9%), sono stati uccisi nell’ambito delle relazioni familiari”.

La costante riduzione del numero di omicidi registrata negli ultimi decenni “ha riguardato principalmente individui di sesso maschile”, segnala il presidente Istat. Gli uomini vittime di omicidio sono passati da 4 a 0,9 ogni 100 mila (tra il 1992 e il 2015, secondo i dati dell’indagine Cause di morte per la quale disponiamo di una serie storica lunga), mentre per le donne il tasso è sceso da 0,6 a 0,4.
“Sebbene, quindi, per i maschi l’incidenza degli omicidi si mantenga tuttora nettamente maggiore (circa doppia) rispetto alle donne, i progressi sono stati molto visibili”, rileva Alleva. Per le donne, “che partivano da una situazione molto più favorevole – aggiunge – la diminuzione nel tempo ha invece seguito ritmi molto più lenti ed è riconducibile ad una riduzione del numero di vittime da autore ad essa sconosciuto o non identificato piuttosto che a un calo delle vittime in ambito familiare”.
Dal punto di vista dell’analisi, possiamo affermare che i femminicidi non sono che la forma più estrema di violenza di genere – valuta Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, in audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio -. La violenza contro le donne è un fenomeno di difficile misurazione, perché si sviluppa soprattutto negli ambienti più familiari, dove una donna dovrebbe sentirsi più sicura e dove può trovarsi ad affrontare in solitudine una situazione che la vede opposta a familiari o persone vicine”.

Con l’indagine del 2014 Istat ha stimato che nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5%), hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, dalle forme meno gravi come lo strattonamento o la molestia a quelle più gravi come il tentativo di strangolamento o lo stupro.
Per quanto riguarda, in particolare, la violenza sessuale, si stimano 4 milioni e mezzo di donne vittime di una qualche forma (realizzata o tentata) di violenza sessuale nel corso della propria vita. In più di un milione di casi (1 milione e 157mila) si è trattato delle forme più gravi: stupro (3,0%; 652 mila) e tentato stupro (3,5%; 746 mila).

I partner attuali o gli ex sono prevalentemente gli autori delle violenze più gravi. 2 milioni e 800 mila donne sono state vittime delle loro violenze: si tratta di poco più del 5% delle donne con un partner attuale (5,5%, 855 mila) e di quasi il 20% delle donne che hanno avuto un partner nel passato (18,8%, 2 milioni e 44 mila). In particolare, sono gli autori di quasi il 63% degli stupri (62,7%) e più in generale di oltre il 90% (90,6%) dei rapporti sessuali indesiderati vissuti dalla donna come violenza.
I dati ricordati da Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, alla Commissione femmincidio mostrano come “più di una donna su tre vittima della violenza del partner ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6%). Circa il 20% è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate, e più di un quinto di coloro che sono state ricoverate ha avuto danni permanenti”.

La violenza non si ferma neanche nel corso di una gravidanza: in poco meno di 1 caso su 4 (23,4%) le violenze sono diminuite, mentre per il 7,5% delle donne sono addirittura aumentate e per l’8,5% iniziate.
Tra le donne straniere vittime di violenza da parte del partner, la quota di coloro che riportano ferite arriva a sfiorare il 45% (44,6%), con una maggiore incidenza di ricoveri (il 23,1% contro il 18,9% delle italiane).
In generale, la quota di straniere che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è pressoché identica a quella delle donne italiane (31,3% – 644 mila donne, contro 31,5% – 6 milioni 144 mila donne). Si attestano sopra la media le donne moldave, che superano il 35 per cento (37,3%), le romene (33,9%) e le ucraine (33,2%), mentre le percentuali sono più basse della media fra le donne marocchine (21,7%), albanesi (18,8%) e cinesi (16,4%).

Per quel che riguarda il trattamento che le donne vittime di violenza da parte del partner ricevono quando si rivolgono a un ospedale o al pronto soccorso, “una vittima italiana su tre ha dichiarato che il personale sanitario ha minimizzato, se non addirittura non raccolto la testimonianza di violenza subita”, prosegue Giorgio Alleva. La quota scende a meno di una su cinque nel caso delle vittime straniere (il personale sanitario “ha fatto finta di niente” nel 33,6% dei casi con vittima italiana contro il 18% dei casi con vittima straniera).

Le straniere, inoltre, sono più spesso consigliate di sporgere denuncia (59% contro 31,2%) e accompagnate nel cammino di emersione della violenza, probabilmente anche in virtù del fatto che la loro rete sociale di riferimento è più ristretta di quella delle italiane. “Questo differente trattamento non sembrerebbe però essere dovuto alla maggiore gravità della violenza subita dalle straniere”, segnala Alleva. Prendendo, per esempio, solo le donne vittime di violenza ad alta gravità (schiaffi, calci e pugni, tentativi di strangolamento, soffocamento, minaccia o uso di armi, più violenza sessuale), il percorso di denuncia è consigliato ad una quota quasi doppia di straniere rispetto alle italiane (33% contro il 64%).

Costo economico, pubblico e privato, della violenza. Per quel che riguarda i costi diretti della violenza, tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15% (14,3%) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6%), spese legali (12,3%) e per danni a proprietà (5%). Molte si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7% e il 6,7%), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni.
“A questi costi diretti naturalmente vanno aggiunti i costi economici legati alle prestazioni sanitarie ricevute nel pubblico, ai servizi erogati dai centri antiviolenza, agli interventi della polizia e del sistema giudiziario, nonche’ i costi sociali indiretti sugli figli e sulla famiglia delle donne abusate e sull’intera societa’, per esempio in termini di minor contributo al sistema produttivo”, conclude Alleva. (DIRE)

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Riprendiamoci la libertà! Con questo slogan la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso invita tutte le donne a scendere nelle piazze italiane sabato 30 settembre contro la violenza maschile sulle donne.

Per la Cgil «il linguaggio utilizzato dai media e il giudizio su chi subisce violenza, su come si veste o si diverte, rappresenta l’ennesima aggressione alle donne. Così come il ricondurre questi drammi a questioni etniche, religiose, o a numeri statistici, toglie senso alla tragedia e al silenzio di chi l’ha vissuta».

Da qui l’appello «agli uomini, alla politica, ai media, alla magistratura, alle forze dell’ordine e al mondo della scuola per un cambio di rotta nei comportamenti, nel linguaggio, nella cultura e nell’assunzione di responsabilità».

Volete togliere senso ai numeri che parlano di un dramma. Non sapete quanto pesa denunciare e quale scelta sia. Ogni denuncia porta con sè la nuova violenza di cronache morbose, pornografiche, che trasformano le vittime in colpevoli. Non sapete dare un senso al silenzio che le donne scelgono, o a cui sono costrette e lo occultate nelle statistiche che segnano una lieve diminuzione delle denunce, seppellendo nei numeri il peso permanente dellaviolenza, degli stupri, dei femminicidi.

Avete tolto senso alle parole quando trasformate la violenza contro le donne in un conflitto etnico, razziale, religioso. Avete tolto senso alle parole quando difendete il vostro essere uomini, senza pensare all’ulteriore violenza cheinfliggete: donne nuovamente vittime, oggetto dei vostri conflitti di supremazia (…).

Siamo uscite dal silenzio, abbiamo detto «se non ora quando» ed ancora «non una di meno», abbiamo denunciato i diritti negati con la piattaforma Cedaw. Abbiamo colorato piazze, città, la rete, le nostre vite perché vogliamo vivere ed essere libere.

Reagiamo con la forza della nostra libertà all’insopportabile oppressione del giudizio su come ci vestiamo o ci divertiamo. Ci vogliamo riprendere il giorno e la notte, perché non c’è un «mostro» o «un malato» in agguato, ma solo chi vuole il possesso del nostro corpo, della nostra mente, della nostra libertà. Non ci sono mostri o malati, ma solo il rifiuto di interrogarsi, il chiamarsi fuori che alla fine motiva e perpetua la violenza.

Le parole sono armi, sono pesanti lasciano tracce profonde ed indelebili, determinano l’humus in cui si coltiva la «legittimità» della violenza, la giustificazione dell’inversione da vittima a colpevole.

Ci siamo e continueremo ad esserci per riaffermare che la violenza contro le donne è una sconfitta per tutti e ci saremo ancora perché vogliamo atti e risposte:

La convenzione di Istanbul è citata, ma non applicata, farlo! –
La depenalizzazione dello stalking, va cancellata – ora!
La cultura del rispetto si costruisce a partire dalla scuola, dal senso delle parole, si chiama educazione!
Agli operatori della comunicazione tutti, chiediamo che ci si interroghi e si decida sul senso dell’informazione, sul peso delle parole ed esigiamo la condanna di chi si bea della cronaca morbosa.
Ancora una volta risorse e mezzi per i centri antiviolenza, case sicure, e norme certe per l’inserimento al lavoro.
Vogliamo che venga diffuso e potenziato il servizio di pubblica utilità telefonico contro la violenza sessuale e di genere, adesso!

Alla magistratura e alle forze dell’ordine, che venga prima la parola della donna in pericolo, della donna abusata, che non si sottovaluti, che non si rinvii, che si dia certezza e rapidità nelle risposte e nella protezione.
ALL’APPELLO HANNO GIÀ ADERITO:
Elisabetta Addis, Roberta Agostini, Antonella Bellutti, Sandra Bonzi, Luciana Castellina, Gabriella Carnieri Moscatelli, Francesca Chiavacci, Franca Cipriani, Daria Colombo, Geppi Cucciari, Lella Costa, Alessandra Kustermann, Maria Rosa Cutrufelli, Diana De Marchi, Loredana De Petris, Alessandra Faiella, Angela Finocchiaro, Francesca Fornario, Maria Grazia Giannichedda, Marisa Guarneri, Cecilia Guerra, Anna Guri, Francesca Koch, Simona Lanzoni, Loredana Lipperini, Maura Misiti, Rossella Muroni, Bianca Nappi, Giusi Nicolini, Cristina Obber, Ottavia Piccolo, Bianca Pomeranzi, Norma Rangeri, Rebel Network, Rosa Rinaldi, Chiara Saraceno, Linda Laura Sabbadini, Assunta Sarlo, Stefania Spanò – Anarkikka, Monica Stambrini, Paola Tavella, Vittoria Tola, Livia Turco, Chiara Valentini, Elisabetta Vergani.

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