Europee e immigrazione: 10 luoghi comuni da sfatare


Redattore Sociale


Pagano le tasse e la previdenza, contribuiscono alle nascite, hanno tassi di criminalità simili agli italiani, sono in gran parte cristiani, emigrano per una vita migliore, ma subiscono misure restrittive (ad esempio nelle prestazioni assistenziali). “La presenza migratoria è per la maggior parte stabile, bisogna passare dalle discriminazioni alle pari opportunità”


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lavoratori

Le migrazioni sono la più antica azione di contrasto alla povertà, selezionano coloro i quali desiderano maggiormente riscattarsi, sono utili per il Paese che le riceve, aiutano a rompere l’equilibrio di povertà nel Paese di origine: quale perversione dell’animo umano ci impedisce di riconoscere un beneficio tanto ovvio?” Sono le parole dell’economista liberal John Kenneth Galbraith, scomparso nel 2006, scelte dal Centro Studi e Ricerche sull’Immigrazione Idos  attraverso il suo presidente onorario Franco Pittau, per parlare delle questioni ricorrenti sull’immigrazione, uno dei temi centrali nella campagna elettorale per le imminenti elezioni europee, per sfatare luoghi comuni e riportare il dibattito su un terreno fatto di dati e non di slogan: dall’economia alla previdenza, dalla criminalità alla religione, dalle ragioni delle migrazioni alle modalità di ingresso nei Paesi di accoglienza e insediamento fino alle future prospettive determinate anche dalle nuove normative. Queste, scrive Idos, “hanno determinato un trattamento peggiorativo nei confronti degli immigrati in Italia sotto diversi aspetti: costi per il permesso di soggiorno, domande di protezione rifiutate, aumento del numero di irregolari”.

Economia. In Italia i tassi di crescita sono bassi e nel 2019 si scenderà sotto l’1%, gli investimenti sono minimi, la ricerca tecnologica langue, la burocrazia è costosa e il debito pubblico cresce. “All’insufficienza del tasso di sviluppo si uniscono altre carenze del sistema e non degli immigrati, il cui ruolo nell’attuale contesto merita di essere riconsiderato”, afferma il Centro Studi Idos. Gli immigrati rappresentano, infatti, circa il 10% degli occupati e il 10% dei titolari di impresa, pagano 3,3 miliardi di euro di Irpef e altrettanti come contributi previdenziali ovvero “non sono colpevoli di questo andamento, ma assicurano un grande sostegno”.

Demografia. La popolazione italiana diminuisce (nel 2018 di 90 mila unità), i decessi superano le nascite e il numero medio di figli per donna è basso, la speranza di vita è alta e gli over65 sono un quarto della popolazione totale. Inoltre, i giovani sono tornati a lasciare il Paese, e, tra questi anche gli immigrati diventati italiani. “Questo comporterà effetti negativi sull’occupazione e a livello previdenziale i pensionati troveranno sostegno in un numero ridotto di lavoratori in attività – sottolinea Idos –. Anche questo scenario non è da imputare agli immigrati, che anzi incidono quasi per un sesto sulle nuove nascite e, insieme ai nuovi arrivi hanno costituito un parziale rimedio”.

Occupazione. In Italia il sistema produttivo non è paragonabile a quello di altri Paesi fondatori dell’Ue: pochi brevetti, scienziati che emigrano, standard qualitativi delle università in calo, formazione professionale non paragonabile, ad esempio, a quella tedesca. “Su questi fattori non hanno influito gli immigrati – attestano le analisi di Idos – che si sono inseriti negli spazi lasciati liberi dagli italiani: manovalanza, facchinaggio, bassi servizi nella ristorazione e negli alberghi, collaborazione domestica e familiare”. Per il 34% degli immigrati occupati le mansioni svolte sono inferiori alla preparazione ricevuta e in media la loro retribuzione è del 27% inferiore a quella degli italiani. A livello imprenditoriale le 588 mila imprese gestite da nati all’estero assicurano posti di lavoro, anche a italiani, e sono aumentate anche negli anni della crisi, attestando il dinamismo occupazionale della forza lavoro di origine straniera.

Criminalità. Uno dei luoghi comuni sugli immigrati è che commettano più reati degli italiani. Ma è davvero così? “Dire che l’immigrazione è sinonimo di criminalità non è corretto – sottolinea l’analisi di Idos –. Tale conclusione non è fondata per quanto riguarda gli immigrati residenti e non trova riscontro nei dati”. Tra il 2004 e il 2016 la popolazione italiana è rimasta stabile, ma le denunce contro gli italiani sono aumentate del 31,7%. Invece, gli immigrati regolari sono più che raddoppiati (+128,3%), mentre le denunce contro gli stranieri sono cresciute solo del 13,7% e la loro incidenza sul totale delle denunce è scesa al minimo storico (29,2%).

La stragrande maggioranza delle denunce contro stranieri non riguarda gli immigrati residenti bensì quelli in posizione irregolare e/o di passaggio e buona parte di queste riguarda infrazioni al Testo unico sull’immigrazione (che, va da sé, riguarda esclusivamente la popolazione straniera). “Tenuto conto di questi aspetti si può concludere che gli immigrati residenti hanno un tasso di criminalità simile agli italiani, ma va intensificato l’impegno a diminuire la criminalità sia che si tratti di cittadini italiani sia di stranieri; e a favorire l’emersione dalla regolarità”.

Previdenza. Gli immigrati sono “preziosi” sostenitori del sistema pensionistico italiano: pagano 11,5 miliardi di euro come contributi previdenziali all’anno (dati 2016) e incidono per meno dell’1% sulle pensioni. Partecipando in misura elevata alle prestazioni in caso di disoccupazione e incidono di più sulle indennità di maternità perché fanno più figli. “Complessivamente, l’incidenza come fruitori di prestazioni assistenziali è in linea con quella che hanno sulla popolazione residente, con diverse misure restrittive nei loro confronti”. Il riferimento è a bonus bebè, assegni per le famiglie numerose, reddito di cittadinanza, facilitazioni per la mensa. Sono molte anche le prestazioni pensionistiche perse perché gli immigrati spesso sono costretti a rimpatriare prima dell’età pensionabile, senza sapere o essere informati sul fatto che la domanda per la pensione può essere inoltrata anche dai Paesi di origine.

Religione. L’invasione musulmana è un’altra delle mistificazioni utilizzate nel racconto sull’immigrazione. Oltre a ricordare come l’Italia sia da secoli un Paese multireligioso, Idos sottolinea che la maggioranza degli immigrati è di religione cristiana (il 52,%) con 1,5 milioni di ortodossi, 1 milione di cattolici e oltre 220 mila protestanti. I musulmani sono circa 1,6 milioni, quasi un terzo dei 5 milioni di immigrati residenti. A questi si aggiungono poi induisti, buddisti e altri gruppi minori.

Fattori di espulsione. Per spiegare le ragioni dell’emigrazione, l’Idos sceglie le parole dei lombardi che emigravano alla fine del 1800 e così ne spiegavano i motivi in una lettera all’allora ministro dell’Interno, Giovanni Nicotera: “La nostra vita è tanto amara che poco più che morte. Coltiviamo frumento e non sappiamo cosa sia il pane bianco. Coltiviamo viti e non beviamo vino. Alleviamo bestiame e non mangiamo mai carne. Vestiamo fustagno e abitiamo ovili. E voi con tutto ciò pretendete che non dobbiamo emigrare?”. Proprio come gli italiani dopo l’Unità d’Italia, oggi le persone emigrano da Asia e Africa per la mancanza di una speranza di vita, per la povertà, ma anche per l’instabilità politica o i conflitti armati.

Regolamentazione dei flussi. In Italia le quote di ingresso per lavoro sono bloccate da anni e risultano sostanzialmente riservate agli stagionali o alla conversione del titolo di soggiorno a favore di chi è già presente. Sono invece pochi gli arrivi di lavoratori qualificati non soggetti a quote. Gli ingressi avvengono per ricongiungimento familiare o per richiesta di asilo. Un altro percorso è quello dei corridoi umanitari, inizialmente promossi dalla Chiesa Valdese o dalla Comunità di Sant’Egidio. “L’Italia ha fatto molto negli ultimi anni per i rifugiati, ma non accoglie più richiedenti asilo di quanto facciano in media altri Paesi europei – scrive Idos –. Ciò che occorre è una modifica della normativa comunitaria, in particolare del Regolamento di Dublino sul quale si è già espresso il Parlamento europeo”.

Sviluppo locale. “Aiutarli a casa loro? Una tesi positiva”, secondo Idos, che però si accompagna e si utilizza per giustificare con un trattamento peggiorativo degli immigrati nel nostro Paese. Il riferimento è ad alcuni interventi normativi come le delibere dei sindaci di Rovato e Pontoglio (dichiarate nulle dal giudice) che avevano aumentato i costi del certificato di idoneità alloggiativa, indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno; il decreto sicurezza che, tra le altre cose, ha portato da 2 a 4 anni l’attesa per definire la pratica di cittadinanza; i costi per l’accoglienza dei richiedenti asilo, ridotti da 35 a 21 euro al giorno; l’aver penalizzato l’accoglienza diffusa in piccole strutture; le gare di appalto per la gestione dell’accoglienza contestate dai gestori e, in alcuni casi, annullate dal Tar.

“L’obiettivo di aiutarli a casa loro è giusto ma difficile”. L’ultima legge di bilancio ha ridotto lo stanziamento per il 2019 degli aiuti allo sviluppo al di sotto dello 0,30% del Pil, quando la media europea è dello 0,5%. Un aiuto maggiore, invece, viene dato dagli immigrati con i risparmi: nel 2017 sono stati inviati più di 5 miliardi di euro nei Paesi di origine, rimesse su cui il governo ha applicato una ulteriore tassa. Una risorsa, secondo Idos, continuano ad essere le ong che studiano progetti di sviluppo locale, “ma si penserà a questa risorsa nell’attuale contesto di discredito verso queste organizzazioni?”

Prospettive future. La politica del pugno duro funziona? “Da una parte ha suscitato un dibattito a livello europeo, senza però contribuire efficacemente a risolvere i problemi, dall’altra ha perseguito la riduzione degli sbarchi in continuità con i “risultati” del Governo Gentiloni – scrive Idos –. Ma non mancano gli effetti negativi”. Il decreto Salvini ha portato a un aumento del numero degli irregolari, 533 mila a inizio 2019 che diventeranno 750 mila nel 2020 (secondo le stime più accreditate). E i rimpatri, difficili e costosi, risultano in calo rispetto agli anni precedenti. “La speranza che la spinta migratoria si riduca è irrealistica – conclude –. Secondo gli esperti, a metà secolo crescerà la popolazione mondiale e raddoppierà il numero dei migranti nel mondo. A questi sviluppi bisogna prepararsi, con realismo ma senza chiusure di principio. Per favorire l’inte(g)razione è indispensabile che si passi dalle discriminazioni alle pari opportunità, nell’ottica di valorizzare allo stesso modo tutti i cittadini che concorrono allo sviluppo dell’Italia”.

Redattore Sociale

24 maggio 2019

 

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