Egitto, la rivoluzione calpestata


Azzurra Meringolo - nena-news.globalist.it


Tra boicottaggio e dubbi di brogli, Heliopolis – la città di Shafiq – si divide tra Fratelli Musulmani e vecchio regime. Nel timore che tutto cambi perché nulla possa cambiare.


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Egitto, la rivoluzione calpestata

Il caldo soffocante sembra aver spento l'Egitto. A metà mattinata gli elettori sono ancora addormentati. Di fronte ai seggi dove si svolge il ballottaggio presidenziale ci sono solo poliziotti che si riparano dal sole sorseggiando un succo di mango. Lo stridio del tram sui binari è l'unico rumore che si sente nella piazza centrale di Heliopolis, la città satellite del Cairo dove vive Ahmed Shafiq, il premier dell'ultimo governo Mubarak che si contende la presidenza con Mohammed Mursi, il presidente della Fratellanza Musulmana. Ad attraversare la ferrovia progettata all'inizio del '900 dal barone belga Empian, ingegnere a capo della compagnia che ha ideato anche la metro di Parigi, sono solo spazzini. "Una volta questa era una località di lusso staccata dal Cairo – racconta un anziano – Ora la capitale ci ha inglobato".

Un canale radio dice che il 90% degli elettori è già andato a votare "ma questa cifra è davvero incredibile. Vogliono farci credere che il prossimo raís ha il sostegno popolare, ma l'affluenza non supera il 40%", spiega Ahmed, un attivista che è qui solo per monitorare il processo elettorale. "Boicotto le elezioni perché nessuno dei candidati rimasti in lizza può realizzare gli obiettivi della rivoluzione". I seggi più affollati sono quelli ai lati di due chiese. "Chi decide di non votare commette un errore", dice invece una donna che ha in mano una fotografia di Shenouda III, il papa copto morto lo scorso marzo. " Sono sicura che avrebbe votato Shafiq e tutti i cristiani sosterranno l'ex premier perché è l'unico in grado di salvare il paese da una deriva islamista", aggiunge il marito. Per molti però Shafiq è un fulul, un rimasuglio del vecchio regime che, come un Gattopardo, dà solo un'immagine di cambiamento affinché nulla possa cambiare. "E' Mursi che rappresenta il rischio di un ritorno al passato, non Shafiq. Qualora l'islamista vincesse ritorneremmo al medioevo, ai tempi delle carovane e del baratto. Parole come turismo, progresso e business sarebbero eliminate dal vocabolario politico. Si discuterebbe solo di velo, alcolici e orari della preghiera".

Vicino alla basilica cattolica dove é sepolto il barone Empain, tra palazzi in tradizionale stile arabo, persiano e neoclassico, si trova la sinagoga di via al Missalah, segno vivente dell'esistenza in Egitto di una minoranza ebraica ridotta ormai a qualche centinaia. "Siamo per la tolleranza religiosa, non vogliamo convertire forzatamente nessuno", dice un sostenitore di Mursi.

"Heliopolis è un enclave del vecchio regime. Anche le strade ricordano ai residenti chi ha in mano il potere", spiega mostrando il quartier generale dell'esercito e quello dell'aviazione militare. "Shafiq è cresciuto tra questi palazzi ", dice una signora ricordando che prima di diventare premier Shafiq era già stato ministro dell'aviazione civile. "Chissà quante cene avrà consumato qui dentro", si chiede la donna davanti a quella che fino a sedici mesi fa è stato il palazzo residenziale del deposto presidente Mubarak. E' qui che il vecchio raís ha finito la sua carriera politica quando, il 10 febbraio 2011, un corteo di manifestanti partiti dalla piazza centrale del Cairo ha deciso di farsi sentire direttamente dal vecchio faraone.

"Queste votazioni sono macchiate da casi di frode" denuncia Ahmed Sarhan, portavoce della campagna elettorale di Shafiq. Tra le varie irregolarità, circola la voce di penne con un inchiostro in grado di diventare invisibile dopo qualche minuto. "Sono biro con il simbolo di Shafiq che i Fratelli Musulmani distribuiscono agli elettori dell'ex premier" dice un ragazzo che passeggia davanti al quartier generale di Shafiq a Doqqi. All'ingresso due grossi buttafuori proteggono la palazzina con lampadari di cristallo dagli attacchi di quei rivoluzionari che già dopo la fine del primo turno elettorale hanno cercato di incendiare la costruzione. "Siamo in un sistema democratico ed accetteremo quanti potrebbero criticare la presidenza di Shafiq" aggiunge Sarhan.

Per i rivoluzionari però non si può parlare di democrazia "I militari sono all'ultimo capitolo del loro manuale sulla controrivoluzione – racconta una giovane delusa – Fra qualche giorno aggiusteranno i dettagli e lo conserveranno nella loro biblioteca".

Fonte: http://nena-news.globalist.it
19 Giugno 2012

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