Donne in Egitto tra violenza e rivoluzione


NEAR EAST NEWS AGENCY


Aggressioni, molestie e stupri accompagnano la quotidianità delle egiziane ed ora che la questione è diventata di dominio pubblico, ci si interroga sulla matrice di questi crimini.


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Egyptian women shout slogans during a protest in downtown Cairo to denounce the military's attacks on women and to call for an immediate end to the violence against protesters on December 20, 2011. AFP PHOTO/KHALED DESOUKI (Photo credit should read KHALED DESOUKI/AFP/Getty Images)

Le cronache delle manifestazioni nelle piazze egiziane sono spesso gravate da notizie di violenza sulle donne. Aggressioni, molestie e stupri accompagnano da tempo la quotidianità delle donne egiziane ed ora che la questione è diventata di dominio pubblico, in molti si interrogano sulla possibile matrice di queste azioni.

C’è chi parla di peggioramento della sicurezza a seguito della caduta del vecchio regime e di bande criminali che hanno campo libero grazie al disinteresse degli apparati di sicurezza, c’è chi parla di forze oltranziste che vogliono allontanare le donne dalle piazze, c’è chi parla di un contesto sociale, incline alla discriminazione, che non condanna (quando non legittima) azioni di questo genere, ma non esistono riscontri né in un senso né nell’altro.

Il dato significativo è che le donne nelle manifestazioni ci sono e che esistono forze che non vorrebbero che ci fossero. Nonostante il problema sia grave e la percentuale di donne che almeno una volta nella vita sono state oggetto di molestie sessuali (stimato attorno all’83%) sia altissima, la paura ha frenato solo in minima parte la partecipazione femminile alle proteste. Anche grazie alla creazione di gruppi di difesa formati da uomini e donne che, muniti di pettorina gialla e cellulare, monitorano le manifestazioni per intervenire in caso di aggressione, molte attiviste continuano a presidiare le piazze per portare avanti una protesta che prescinde dal genere sessuale.

Non guardiamo, quindi, alle donne egiziane solo come vittime perché faremmo loro un torto. Le donne sono state, infatti, forza motrice della Primavera e, guardando alla storia dell’Egitto, questo non stupisce.

Culla dei primi movimenti femministi del mondo arabo, la terra delle piramidi è sempre stata in prima fila per quanto riguarda le lotte per l’emancipazione delle donne. Per quanto si sia assistito ad un minor protagonismo di questi movimenti negli ultimi anni, dopo un periodo di forte attivismo dovuto al fiorire del femminismo islamico negli anni ’80 e ’90, l’impegno femminile, nascosto, ma mai scomparso, si è sempre mantenuto vivo attraverso organizzazioni per i diritti femminili orizzontali e indirizzate alla costruzione di un nuovo processo di democratizzazione.

Con lo scoppio della Primavera araba lo spazio di azione è sembrato, però, riaprirsi e donne, con storie ed esperienze di vita tra loro molto differenti, hanno scelto di farsi portatrici di un disagio derivante dalla triplice forma di oppressione che percepivano: quella economica, provocata dalla crisi del neocapitalismo globale, quella politica, provocata dai regimi dittatoriali a cui erano sottoposte, e quella religiosa, dovuta al diffondersi di idee islamiste radicali.

Partendo da condizioni differenti, ognuna ha scelto di dare a suo modo un contributo nel processo di cambiamento. Le donne che aderivano alla rivoluzione non erano, infatti, solo quelle nelle piazze. Le madri nelle case a preparare cene collettive per il vicinato, le figlie obbligate al vincolo delle mura domestiche per paura della violenza di piazza, ma sempre aggiornate grazie alla televisione o ai social network, le mogli in trepidante attesa per il ritorno dei mariti dopo le proteste, sono state le invisibili attrici della caduta di Mubarak e della creazione del nuovo Egitto.

I risultati delle proteste non sono stati, però, quelli sperati. Se la partecipazione alle lotte ha ridato vigore ai movimenti femminili, la crescita della insicurezza da un lato e della propaganda integralista dall’altro ha, in un buona misura, chiuso spazi alla partecipazione femminile. Per quanto le proteste siano state veicolo di liberazione dall’ordine patriarcale in quanto le donne hanno avuto l’opportunità di assumere ruoli tradizionalmente assegnati solamente agli uomini dimostrando a sé stesse ed alla società che era possibile opporsi all’autorità, qualunque forma essa prendesse, la distanza tra sessi è rimasta abissale.

Le attiviste maggiormente impegnate, arrestate e torturate dal vecchio regime, sono state marginalizzate ed escluse dal panorama politico dal nuovo Governo. Se a questo si aggiunge che la Costituzione votata a dicembre dichiara che la famiglia deve essere basata su valori morali e che le donne devono essere “onorate” per mantenere la “dignità” della Nazione e della società, diviene evidente che la questione femminile in Egitto è, ad oggi, lungi dall’essere risolta. A fronte di questo, risulta chiaro che solo se le donne continueranno a partecipare alle proteste e gli uomini riconosceranno che l’emancipazione femminile rientra a pieno titolo nell’agenda della rivoluzione, si potrà ottenere un cambiamento culturale profondo che porrà fine alla discriminazione ed alla violenza nella vita delle donne egiziane.
Fonte: Nena News
6 febbraio 2013

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