Dietro le parole, la rinuncia di Obama


Ali Rashid


Nel discorso dell’Onu, Obama si è espresso contro la continuazione della colonizzazione ebraica dei territori palestinesi occupati, considerandola illegittima e inaccettabile.


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Dietro le parole, la rinuncia di Obama

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel discorso dell’Onu, Obama si è espresso contro la continuazione della colonizzazione ebraica dei territori palestinesi occupati, considerandola illegittima e inaccettabile. E ha ribadito la necessità di un ritorno ai confini del ’67 per realizzare una pace durevole in Medio Oriente tra Israele e l’intero mondo arabo attraverso la creazione di due Stati. Le parole di Obama sono state molto accurate. Ma nascondono la sua impotenza. Quella di incidere realmente nei rapporti interni agli Stati Uniti che restano impermeabili a qualsiasi cambiamento e incapaci di ridiscutere il ruolo dell’America nel mondo. Dall’altra parte anche il mondo, per ragioni intrinseche e per i disastri provocati dalle guerre e avventure americane degli ultimi dieci anni, non sembra in grado di reagire ai gravi pericoli che incombono. In Medio Oriente, questi annunci non convincono ormai più nessuno, Obama al vertice con Abu Mazen e Netanyahu, mentre a parole ha continuato a considerare la colonizzazione ebraica come legittima, di fatto è arretrato di fronte all’intransigenza del premier israeliano e alle resistenze del congresso Usa. Non ha più chiesto infatti il “congelamento” ma semplicemente il “contenimento” degli insediamenti. Cosi parla di uno Stato palestinese assai fumoso, senza stabilire da una parte confini e tempi certi e, dall’altra, riproponendo uno stato “ebraico”, quindi non di tutti i suoi cittadini come in ogni stato di diritto, accogliendo la rivendicazione degli ambienti più integralisti della società israeliana. A parole Obama sottolinea che le trattative da avviare subito dovrebbero risolvere tutti i nodi della questione palestinese (confini, sovranità, profughi e status di Gerusalemme) nonché la sicurezza di Israele. Per quanto riguarda Gerusalemme, di fatto Israele ha già annesso la città e – con il trasferimento della popolazione araba, la costruzione di nuove colonie per gli ebrei e la distribuzione delle case dei palestinesi, la continuazione del Muro che ruba terre e proprietà- tende a rendere l’annessione irreversibile. Vale lo stesso per i territori occupati della Cisgiordania.  Sui rifugiati, Mitchell, inviato della Casa Bianca in Medio Oriente, di fronte al rifiuto israeliano di prendere in considerazione la questione, ha già avviato la trattativa senza successo con Giordania e Libano per assorbire i rifugiati nei loro stati. Sui confini, va da sé che le frontiere di questo fantomatico Stato di Palestina sono disegnati da Israele stesso con le colonie e il muro, lasciando ai palestinesi i centri abitati frastagliati e senza continuazione territoriale, necessaria perché esista uno Stato. E per l’effettiva sovranità di questa improbabile “entità”, basta pensare che Abu Mazen ha ripetutamente dichiarato che non avrebbe partecipato al vertice senza un impegno israeliano a fermare la costruzione di nuove colonie. Obama ora considera questa richiesta una una precondizione e un ostacolo. Quando ha parlato di novità positive per i palestinesi- “il palestinese nuovo”, ahimé, privato di lingua, storia e cultura- è venuta in mente la retorica americana dell’Ufficio degli Affari Indiani nel ‘800, quando, dopo aver ghettizzato il popolo autoctono, condannando a morte per fame e malattie le tribù ribelli, enfatizza lo stato di diritto e di democrazia che sarebbero sorte su quelle decimazioni e rovine. Il popolo palestinese, Obama e l’intera “altra America” della sua elezione hanno di fronte la stessa sfida: un’ideologia eversiva e impermeabile a ogni legalità, integralista – Lieberman, ministro degli esteri israeliano, è l’uomo del transfer, della pulizia etnica contro i palestinesi. Certo, Obama non ha gettato la spugna. Ma sta indietreggiando. Sul suo stesso futuro e su quello del mondo. E cosi mette il Medio Oriente e la Palestina – la madre di tutte le crisi –  nelle mani dei fanatismi e della guerra. Si può annunciare una nuova era di pace senza risolvere, con coraggio e alla radice, la questione palestinese?

Fonte: il Manifesto

25 settembre 2009

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