Darfur: a rischio i colloqui di pace


La redazione


Dovrebbero tenersi il 27 ottobre in Libia, sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, ma i colloqui tra il governo di Khartoum e i ribelli del Darfur potrebbero saltare di nuovo: 6 gruppi di ribelli hanno deciso di boicottarli. E intanto tirano in ballo anche la Cina.


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Darfur: a rischio i colloqui di pace

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo la crisi politica parzialmente risolta con un rimpasto del governo, il 17 ottobre, (il Movimento popolare di liberazione del Sudan, SPLM, è uscito dal governo in polemica con il Partito del congresso nazionale, schieramento politico del presidente el Beshir), ora Khartoum rischia di infilare l’ennesimo fallimento: sei gruppi di ribelli hanno annunciato che non parteciperanno all’incontro per la ripresa dei colloqui di pace che sono in programma sabato 27 ottobre a Sirte, in Libia. Il motivo principale: secondo loro, il governo, senza l’SPLA non è più legittimo. Pesano le motivazioni dell’ìuscita dall’esecutivo del SPLM: divergenze sull’organizzazione di un censimento della popolazione, sulla demarcazione di confini tra nord e sud, sulla richiesta di liberazione di alcuni membri dell’Splm detenuti in carceri del nord e al trasferimento di truppe militari.

 

I ribelli che hanno deciso di boicottare i colloqui fanno parte di diverse fazioni del Sudan Liberation Movement/Army, oltre al  “Movimento per la giustizia e l'uguaglianza” (Justice and Equality Movement JEM), alla fazione Comando settentrionale e a un altro gruppo ribelle del Darfur.

 

Diverse le reazioni: in una corsa disperata contro il tempo, l’inviato speciale dell’ONU in Sudan, il pakistano Ashraf Qazi e il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Alpha Oumar Konaré, stanno cercando di riavviare il dialogo tra  Khartoum e i ribelli prima dell’incontro di sabato. Un appello perché tutte le parti partecipino ai colloqui è stato lanciato anche  dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dura, invece, la posizione dell’ambasciatore del Sudan presso le Nazioni Unite, secondo il quale “il processo di pace  non può essere ostaggio dei ribelli”, e quindi le negoziazioni possono continuar anche senza di loro.

 

Si teme però anche per l’estensione del conflitto dal Darfur alla vicina provincia del Kordofan, dove sarebbero recentemente scoppiati scontri tra tribù locali sul possesso della terra, e dove i ribelli sudanesi  del JEM, una delle principali formazioni armate, hanno attaccato il campo petrolifero di Debra, sfruttato dal consorzio a guida cinese Greater Nile petrolum Operating Company, sequestrando due dipendenti stranieri, un canadese e un iracheno.

 

Per le autorità sudanesi gli scontri non hanno alcun legame con la crisi del Darfur, ma il gruppo ribelle rivendica invece legami: il Jem vuole che Pechino tolga il sostegno al governo di Khartoum, e che lo sfruttamento del petrolio vada a beneficio della popolazione del Sudan, e non delle multinazionali straniere. I ribelli hanno dato una settimana di tempo alla compagnia cinese per lasciare il Sudan.


Fonte: www.nigrizia.it

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