Centrafrica: i crimini impuniti e il silenzio


Antonella Napoli


Da oltre due anni la Corte penale internazionale ha avviato un’inchiesta sui crimini contro l’umanità perpetrati nella Repubblica centrafricana. Oggi, pubblicando un dettagliato report, Amnesty International rivela al mondo in tutta la sua crudezza la tragedia umanitaria che si sta consumando nel Paese. Le testimonianze e le prove raccolte hanno confermato che in Centrafrica a […]


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Des émeutiers brulent une mosquée dans le quartier Fou,Bangui.

Protesters burn a mosque at the Fou neighborhood, Bangui.

Da oltre due anni la Corte penale internazionale ha avviato un’inchiesta sui crimini contro l’umanità perpetrati nella Repubblica centrafricana. Oggi, pubblicando un dettagliato report, Amnesty International rivela al mondo in tutta la sua crudezza la tragedia umanitaria che si sta consumando nel Paese.
Le testimonianze e le prove raccolte hanno confermato che in Centrafrica a fronte di aberranti violazioni dei diritti umani e violenze indiscriminate vige “un’impunità su scala sbalorditiva”. I responsabili di omicidi, torture e stupri continuano a eludere le indagini riuscendo a sottrarsi alla giustizia.
Per questo l’organizzazione internazionale, attraverso un comunicato diffuso alle più importanti agenzie di stampa, chiede l’istituzione di un tribunale penale speciale e l’investimento di finanziamenti per sostenere la “costruzione” di un sistema giudiziario funzionale e credibile. Aiuti economici sono stati garantiti da Bruxelles lo scorso novembre, al termine della conferenza sul futuro del paese africano.
L’Unione europea ha promosso l’incontro per cercare di supportare il governo centrafricano. Obiettivo dell’iniziativa, implementare il programma delle autorità del Paese per la pace, la riconciliazione, lo sviluppo e la ripresa economica interna.
Ma la strada verso la stabilità è disseminata di ostacoli.

Se le condizioni relative alla sicurezza nella capitale Bangui stanno migliorando, nelle aree periferiche rimane comunque fragile. E i presupposti per il futuro, ora che la missione francese dispiegata in Centrafrica è stata sospesa, non sono affatto incoraggianti.
Con la fine del ritiro a gennaio dell’operazione Sangaris, iniziata tre anni fa con l’obiettivo di stabilizzare la situazione dopo il conflitto seguito al golpe che depose il presidente Francois Bozizé, le violenze sono riprese e si sono intensificate in tutto il Paese.
L’annuncio ufficiale della chiusura della missione era arrivato all’indomani degli scontri a Bangui tra due gruppi armati che avevano causato la morte di almeno quattro persone. Episodi che si sono ripetuti sia nella capitale che nelle periferie della città. Le vittime sono ormai centinaia.
L’appello all’unità nazionale del presidente Touadéra non ha finora prodotto la stabilità sperata. Da settembre a oggi la coalizione musulmana non ha solo ripreso posizioni, ma ha continuato a reclutare uomini e ad arricchirsi con attività illegali. Con l’uscita di scena della Francia, sul terreno sono rimasti solo i caschi blu della Missione Onu, per nulla temuti come invece lo erano i francesi. Poco o nulla riescono a fare le truppe schierate, al momento, nel paese.
La nuova spirale di attacchi e di omicidi interreligiosi sono stati innescati da mesi di abusi contro i cristiani perpetrati impunemente dalla maggioranza musulmana che aveva preso il potere con un colpo di stato nel 2013.

La reazione della parte avversa è stata di pari violenza. Per mesi sono stati presi d’assalto interi quartieri e sobborghi abitati da civili musulmani, provocando un esodo di decine di migliaia di sfollati, tutt’ora ospitati in campi profughi interni.
Non sono mancati linciaggi e saccheggi che né i soldati francesi, tanto meno i caschi blu dell’Onu sono riusciti a scongiurare. Per di più nei confronti dei militari di entrambe le missioni sono state rivolte in più occasioni accuse di abusi sessuali e violenze su bambini.
Tutto ciò ha gettato discredito sull’operato dei contingenti di peacekeeping dispiegati nel Paese. Un ulteriore elemento di sconforto per la popolazione già duramente provata e che, nonostante la mobilitazione, al momento apparente, della Comunità internazionale, sembra sfiduciata sul futuro che l’attende.
Fonte: www.articolo21.org

13 gennaio 2017

 

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