C’è chi vuole la soluzione «libica»


Michele Giorgio, Il Manifesto


Conflitto siriano: il Qatar tifa per l’opposizione al vertice annuale della Lega araba.


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legaaraba

Gli ufficiali “ribelli” addestrati dagli Usa in Giordania tornano a combattere contro Assad Viene da sorridere leggendo le precisazioni americane dopo le promesse fatte ai ribelli siriani anti-Assad – soldi e armi «non letali» – dal Segretario di stato americano John Kerry al recente incontro a Roma degli «Amici della Siria». Niente armi “vere” che potrebbero finire «nelle mani sbagliate» e ricerca di una soluzione politica. Il presidente Bashar Assad però deve farsi da parte, ripetono funzionari di vario livello del Dipartimento di stato. Come dire: facciamo la nostra parte senza lasciarci coinvolgere troppo. Poi è la stessa Cnn , con ottimi rapporti con la Casa Bianca, a rivelare che giovedì un primo gruppo di circa 300 “ufficiali” ribelli ha fatto ritorno in Siria al termine di un corso di addestramento militare in Giordania, pagato e gestito dagli Stati Uniti (http://edition.cnn.com/2013/03/15/world/meast/ syria-civil-war/index.html?hpt=wo_c1). Addestramento nell’uso di armi anticarro e antiaerei e di sistemi d’arma elettronici avanzati. In Siria gli ufficiali quindi sono tornati per combattere e per trasmettere quanto hanno appreso. Presto altri insorti anti-Assad andranno ad addestrarsi e formarsi in Giordania, paese che già ospita da anni “corsi” per gli agenti dei reparti speciali e della polizia politica dell’Autorità nazionale palestinese. Anche in questo caso a staccare gli assegni sarà il Dipartimento di stato.
Si parla dall’inizio dell’anno di trattative segrete tra russi e americani per dare uno sbocco politico alla crisi siriana. In realtà tutti gli attori, sulla scena e dietro le quinte, lavorano per la guerra civile. Come gli Stati Uniti anche l’Iran fa la sua parte, di segno opposto, inviando armi e munizioni all’alleato di Damasco. E se in molte parti della Siria dominano i jihadisti anti-Assad giunti da vari paesi islamici – c’è anche un ex marine Usa convertito all’Islam – è altrettanto sicura la presenza di centinaia di combattenti sciiti giunti da vari paesi della regione in appoggio all’esercito governativo. E se sul terreno la situazione militare resta incerta e il bagno di sangue è incessante, su tavoli della politica si prepara la divisione in due parti della Siria.
Comincia domani a Istanbul un vertice di due giorni tra i capi della galassia che rappresenta l’opposizione siriana, volto a trovare un accordo sul nome del premier del “governo provvisorio” che dovrà «amministrare» le porzioni di Siria nelle mani dei ribelli armati. Più di tutto dovrà diventare il punto di riferimento dove paesi occidentali e arabi potranno indirizzare i loro finanziamenti al fronte armato anti-Assad. Infine, non certo per importanza, questo governo dovrà gestire i giacimenti petroliferi di Deir el-Zour e della regione di Hassakeh, strappati di recente dai ribelli ai governativi. È la soluzione “libica” che sta spingendo soprattutto il Qatar. L’Emiro del Qatar al Thani, che sin dall’inizio ha dato pieno appoggio alla rivolta armata contro il regime siriano, vuole una decisione rapida. Per due motivi: la nascita di un governo provvisorio, che sarà l’ala politica della rivolta armata sunnita, farà naufragare i tentativi di arrivare a una soluzione politica della guerra civile che non contempli l’uscita di scena immediata di Assad e del partito Baath al potere; Al Thani vuole che sia un esponente dell’esecutivo dell’opposizione ad occupare il posto di rappresentante della Siria al vertice annuale della Lega araba che si terrà a fine mese proprio in Qatar. Summit che, non è un mistero, sarà dedicato quasi tutto alla questione siriana e che per il terzo anno consecutivo riserverà ai palestinesi ben poco spazio.
Doha preme con forza sugli alleati più stretti ma non tutti i rappresentanti dell’opposizione sono convinti che la formazione del governo provvisorio sia una buona soluzione. Non pochi la giudicano prematura e temono la frammentazione del paese, tra questi lo stesso capo della Coalizione delle forze di opposizione, Muaz al Khatib che nelle scorse settimane aveva tentato – senza successo per l’opposizione dei Fratelli musulmani – di aprire la strada a una trattativa con il regime (scartando però Assad). I contrasti tra gli oppositori hanno già provocato il rinvio per ben due volte della riunione in Turchia.
Se le differenze non saranno accorciate, il vertice di Istanbul potrebbe rivelarsi una totale perdita di tempo per chi spinge per nominare il premier provvisorio e il suo governo. «Khatib dovrà essere convincente oppure essere pronto ad accogliere l’altro punto di vista. E tutto dovrà avvenire in fretta perché tante aree del paese sono nel caos», ha avvertito Walid al Bunni, un esponente storico dell’opposizione siriana. A ciò si aggiunge il fatto che non è chiaro quanto potere di controllo l’opposizione politica ha sulle migliaia di combattenti che, divisi in piccoli gruppi, partecipano alla lotta contro Assad senza rispettare gli ordini che arrivano dall’alto.

Fonte: Il Manifesto
17 marzo 2013

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