Caso Bianzino, Perugia scende in strada


Gabriele Carchella


Si svolge sabato 10 novembre a Perugia la marcia per chiedere la verità sulla morte di Aldo Bianzino, il falegname di 44 anni che ha perso la vita in carcere in circostanze misteriose. In attesa che le perizie dei medici facciano chiarezza sui suoi ultimi istanti di vita.


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Caso Bianzino, Perugia scende in strada

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Perugia si chiede giustizia. Per le strade del capoluogo umbro, si scende oggi per reclamare la verità sul caso Bianzino, il falegname di 44 anni morto in carcere per cause misteriose. La marcia, promossa dal neonato “Comitato verità per Aldo Bianzino”, prende il via alle 15 da piazzale del Bove. In tanti hanno dato la loro adesione, a cominciare dalle realtà che formano il comitato: Arci, radicali, amici di Aldo, varie associazioni e circoli. La marcia sarà preceduta dall’incontro a Palazzo Donini tra l’assessore regionale Damiano Stufara e Roberta Radici, compagna di Bianzino. Con questo incontro, la regione Umbria si impegna a richiedere un’inchiesta rapida ed efficace e, forse, anche a sostenere materialmente la famiglia Bianzino. Domani pomeriggio, invece, si svolgeranno i funerali. Sul caso Bianzino interviene Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace che ha eletto Perugia come sede nazionale: “Siamo scossi da questa grave vicenda, che somma ad altri tragici fatti che da qualche tempo ruotano intorno a Perugia. Ci sentiamo molto coinvolti, ma siamo fiduciosi che si possa far luce sulla verità. Il diritto alla giustizia è uno dei principali affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani per la quale abbiamo marciato lo scorso 7 ottobre da Perugia ad Assisi”. Persone e associazioni si stringono dunque attorno alla famiglia Bianzino, in un caso che getta una cupa ombra sulle nostre carceri. Per capirne qualcosa di più, si attendono gli esami approfonditi che richiederanno altre settimane di attesa. Forse le perizie mediche potranno spiegare se le lesioni al cervello, la costola fratturata e le altre tracce trovate sul corpo di Aldo sono da collegare a un pestaggio così ben eseguito da non lasciare ematomi esterni. L’unica certezza, al momento, è che Bianzino in carcere era entrato con le sue gambe e in buona salute. Le porte della prigione di Capanne si erano aperte per lui e sua moglie, prelevati dalla casa di Pietralunga, con l’accusa di coltivare cannabis. Del caso ci si occupa anche a Roma. Il ministero della Giustizia, per ora, non si sbilancia: di fronte alle numerose interrogazioni parlamentari, il dicastero del ministro Mastella preferisce temporeggiare. La risposta alle interrogazioni degli onorevoli Bugio e Migliore è stata letta mercoledì scorso a Montecitorio dal ministro per l’Attuazione del programma Giulio Santagata, in quanto Mastella era impedito a presenziare. Per il guardasigilli, le cause della morte di Aldo Bianzino sono tutte da esplorare. Il ministro riconosce che Bianzino, nella visita all’ingresso del carcere, “è stato trovato in condizioni discrete di salute e senza alcuna lesione fisica”. Ma al tempo stesso specifica che “è stato collocato da solo in una cella ubicata presso la cosiddetta ‘zona filtro’ per valutare la presenza di fattori di rischio connesse alla sue condizioni di soggetto facente uso da più di venti anni di sostanze stupefacenti”. Insomma, secondo questa versione, Bianzino non stava male ma non scoppiava neanche di salute. Un’ipotesi che sembra avvalorare la tesi di un arresto cardiaco, la prima formulata dai medici legali. E trapelata all’esterno del carcere di Capanne ancor prima delle conferme ufficiali, quasi a voler escludere qualsiasi responsabilità delle autorità carcerarie. Comunque, il ministro della Giustizia rimane aperto ad altre spiegazioni: “L’ipotesi che la morte del signor Bianzino possa essere conseguenza di una condotta colpevole, sia pure di natura puramente omissiva, è uno dei temi delle investigazioni in corso”. Per passare dalle ipotesi alla verità, si marcia oggi a Perugia.

Fonte: www.lettera22.it, il Manifesto
10 novembre 2007

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