Caritas-Zancan: in Italia più di 8 milioni i poveri reali e di diritti


Giorgio Beretta - unimondo.org


“Poveri di diritti”, anche del diritto di essere “catalogati” come tali. Lo denuncia il “Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia” della Caritas Italiana e la Fondazione Zancan presentato ieri a Roma.


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Caritas-Zancan: in Italia più di 8 milioni i poveri reali e di diritti

“Anche quest’anno va registrata una sostanziale difformità tra i dati ufficiali relativi alla povertà e la reale condizione del paese, che tutti sperimentano quotidianamente e che richiederebbe un’integrazione dell’attuale metodo di rilevazione con soluzioni più sensibili ai cambiamenti” – afferma il rapporto pubblicato da il Mulino (qui la sintesi in .pdf; la scheda dati in pdf e i dati regionali).

non è l’unica denuncia del rapporto, giunto all’XIma edizione. “Alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia – pur tutelati dalla Costituzione italiana – sono i primi a essere messi in discussione e negati. Allo stesso modo, viene regolarmente violato il “diritto a non scomparire per effetto statistico”, visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie” – sottolinea il rapporto che già lo scorso anno aveva evidenziato la "caduta libera" nella povertà di molte famiglie..

E quindi guardiamo ai numeri. Sono aumentate dai 7,81 milioni del 2009 (il 13,1%) a 8 milioni e 272mila le persone povere in Italia (il 13,8%) nel 2010. Secondo i dati Istat (2011) il 2010 ha registrato un lieve incremento nel numero di famiglie in condizioni di povertà: si è passati da 2,657 milioni (10,8%) a 2,734 milioni (11%).

Nel 2010 la povertà relativa è aumentata, rispetto all’anno precedente, tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9 al 29,9%), tra le famiglie monogenitoriali (dall’11,8 al 14,1%), tra i nuclei residenti nel Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7 al 47,3%) e tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7 al 17,1%). Ma la povertà è aumentata anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore autonomo (dal 6,2 al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8 al 5,6%). Per queste ultime è aumentata anche la povertà assoluta, passando dall’1,7 al 2,1%.

E qui arriva la terza denuncia del Rapporto. “Se i poveri avessero dei diritti, il primo sarebbe quello di poter sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l’uscita dalla povertà è possibile. Invece oggi esiste una “cultura diffusa” secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire. È proprio questo atteggiamento a comportare la negazione di alcuni tra i diritti fondamentali” – evidenzia il Rapporto. Se quindi “la povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli”, tuttavia, “nel bilancio di previsione dello stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra i seguenti decrementi: 185,3 milioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2010 e 31,4 milioni nel 2013”.

Il Rapporto 2011 propone quindi un’attenta analisi della spesa dei comuni per la povertà e il disagio economico, in vista del nuovo assetto federalista, che prevede un riequilibrio delle risorse e il superamento delle divergenze territoriali. “Dai dati si evince che a distanza di un anno nulla è cambiato: gli enti locali continuano a investire tante risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà, ma con scarsi risultati” – afferma il rapporto. “Il problema è sempre lo stesso: la prevalente logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l’uscita dal disagio ma, anzi, rischia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che, a fronte dell’aumento di risorse, non si è registrato il corrispettivo calo del numero di italiani poveri” .

Il rapporto presenta quindi delle proposte per delle politiche che intendano andare oltre l’emergenza. “Appare anzitutto opportuno evitare trasferimenti economici standardizzati e universalistici, di tipo burocratico, che non prevedono la responsabilizzazione dei diretti interessati” – sottolinea la Caritas in una suia recensione al rapporto (in .pdf) articolo. “È invece auspicabile privilegiare misure che prevedano accordi consensuali, basati su progetti personalizzati di inserimento sociale. Sono inoltre necessarie strategie di welfare globali, non basate su singole misure ma su un insieme progettuale di interventi: aiuti economici diretti, riduzione dei costi per l’accesso ai servizi locali, agevolazioni tariffarie, inclusione in programmi di inserimento lavorativo e sociale che presuppongono un impegno attivo da parte dell’interessato”.

Intanto le Caritas diocesane continuano a segnalare un progressivo aumento del numero di persone che si presentano ai Centri di Ascolto (CdA) e ai servizi Caritas. E qui emergono altre note da considerare attentamente. “Al primo posto figurano sempre i problemi di povertà economica, seguiti dai problemi di occupazione, i problemi abitativi e, al quarto posto, i problemi familiari”. Ma – si noti – “aumentano gli italiani: rispetto al valore base del 2007, si registra un incremento complessivo pari al 42,5%”. In altre parole “cambia il volto della povertà”: il raggio di azione della povertà economica si sta progressivamente allargando e “coinvolge un numero crescente di persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno”.

Va notato inoltre che per le nuove famiglie povere, la povertà non è sempre cronica, ma rappresenta “una situazione episodica del proprio percorso biografico. Non è il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavoro, le relazioni familiari e l'insufficienza del sistema di welfare. In questo contesto “e donne e le nuove generazioni si trovano a pagare il prezzo più elevato”. La crisi ha prodotto un notevole incremento dei fenomeni di sottoccupazione e lavoro nero, il “problema casa” si sta connotan‐do nei termini di vera e propria “emergenza abitativa” e sonofortemente aumentate le situazioni di povertà materiale

E si registra una “nuova povertà” anche tra li stranieri: “la crisi economica ha colpito duramente gli immigrati e la povertà si diffonde anche nei contesti di vecchia immigrazione, con particolare riguardo alla situazione delle famiglie che sono riuscite a riunificare il proprio nucleo: le nuove esigenze familiari (le spese scolastiche, la necessità di un’abitazione più ampia, ecc.) suscitano nuovi disagi anche in chi è arrivato da molto tempo”.

In questo contesto la Caritas ha continuato a mantenere i suoi “servizi storici”, ma ha anche attivato nuovi progetti per sostenere in modo specifico le famiglie e le piccole imprese colpite dalla crisi economica attraverso il microcredito, fondi di emergenza, la creazione di botteghe e empori solidali, l’allestimento di carte magnetiche di spesa, gli sportelli di orientamento lavorativo e i progetti di sostegno al disagio abitativo. E non va dimenticata “la mensa dei poveri” che rimane un’efficace risposta al bisogno alimentare. In totale, le mense presenti in Italia hanno erogato nel corso del 2009 circa6 milioni di pasti, per una media di 16.514 pasti al giorno. Un servizio offerto da un giro 21.832 persone, in gran parte volontari laici.

Fonte: Unimondo.org

18 ottobre 2011

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