Campagna per l’abolizione della “Firing Zone 918”


Operazione Colomba


Oggi, come tredici anni fa, su dodici villaggi a sud di Hebron e sui loro abitanti pende nuovamente la minaccia di un’evacuazione.


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THIS MUST BE THE PLACE

Campagna per l’abolizione della “Firing Zone 918” nelle South Hebron Hills

Questa storia parla di libertà, emancipazione e giustizia. Tutto ha avuto inizio tredici anni fa quando le autorità israeliane decisero di evacuare, per “esigenze militari”, una vasta area nelle colline a sud di Hebron (Cisgiordania), denominata “Firing Zone 918”. Dopo la demolizione dei dodici villaggi palestinesi presenti nell’area e la deportazione dei loro abitanti, circa un migliaio, le comunità palestinesi della zona dovettero decidere come reagire: se attraverso la violenza o la nonviolenza.

Con l’aiuto di alcuni attivisti e avvocati israeliani, i palestinesi furono così coraggiosi da scegliere la via della nonviolenza. Questo fu l’inizio di un’ incredibile esperienza di resistenza popolare che diede vita al South Hebron Popular Comitee. Molte sono state le difficoltà e gli ostacoli lungo il cammino, ma allo stesso tempo molte sono state le vittorie.

Oggi, proprio come tredici anni fa, su quegli stessi villaggi e sui loro abitanti pende nuovamente la minaccia di un’evacuazione. Questa volta però i palestinesi delle colline a sud di Hebron non devono più scegliere tra violenza e nonviolenza, perché oramai sanno che la nonviolenza è l’unica via.

Perché questo è il luogo dove i palestinesi hanno compreso che la loro lotta non è solo per la loro libertà ma anche per la libertà degli israeliani, non è solo per i loro figli ma anche per i figli degli israeliani, non è solo per il loro futuro ma anche per il futuro degli israeliani.

Perché si rifiutano di credere alle parole di coloro che vogliono convincerli che gli israeliani sono un nemico. Perché sanno che quelle sono le parole di chi ha interesse che il conflitto continui e, dopo più di sessanta anni di occupazione, è tempo di affermarlo a voce alta.

Questo è il luogo: le colline a sud di Hebron, un luogo nel profondo sud del West Bank, così lontano da tutto eppure così vicino alla verità.

Questo è il momento: adesso.

Queste sono le persone: ognuno di noi, uomini e donne, palestinesi e israeliani, europei e americani, chiunque non abbia più paura di dire la verità e di scegliere la nonviolenza.

Se vuoi essere parte di questa storia di libertà, emancipazione e giustizia, non aspettare:

– leggi e condividi questo appello e la petizione con amici, colleghi, famigliari e conoscenti;

– firma la petizione online;

– se vuoi essere tra i firmatari della petizione rispondi a questa email

Per maggiori informazioni:

Sito web: www.nofiringzone918.org / www.operazionecolomba.it/nofiringzone918
Email: nofiringzone918@gmail.com

Petizione

Cisgiordania (Territori Palestinesi Occupati) – Nelle colline a sud di Hebron esiste un’area denominata Masafer Yatta. Quest’area comprende 12 villaggi in cui vivono circa 1000 palestinesi: Tuba, al-Mufaqarah, Isfey, Maghayir al Abeed, al-Majaz, at-Tabban, al-Fakheit, Halaweh, Mirkez, Jinba, Kharoubeh e Sarura. Secondo gli accordi di Oslo, questa zona è considerata ‘area C’, ovvero è sotto il controllo civile e militare israeliano. All’inizio degli anni ’70 Israele ha dichiarato questo territorio come ‘zona militare chiusa’, denominandola ‘Firing zone 918’.

Nel 1999 l’esercito israeliano, insieme ad alcuni ufficiali dell’amministrazione civile, ha espulso i residenti dei dodici villaggi, i quali hanno fatto ricorso presso l’Alta Corte di Giustizia israeliana. La Corte, con un provvedimento temporaneo, ha accolto il ricorso permettendo ai palestinesi di tornare nelle loro case e vietando all’esercito di espellerli nuovamente fino a che la corte stessa non si fosse espressa definitivamente in merito. Nonostante ciò, da allora la vita delle comunità palestinesi nell’area è peggiorata notevolmente, sia a causa della distruzione di proprietà private avvenuta durante l’evacuazione, sia per la continua espansione degli insediamenti e le violenze dei coloni che vi abitano. In questi anni poi, l’esercito e l’amministrazione civile israeliana hanno continuato a consegnare ai residenti ordini di demolizione e di arresto dei lavori, impedendo di fatto di costruire nuove abitazioni o di ristrutturare quelle già esistenti.

Nell’aprile del 2012 la Corte di Giustizia israeliana ha riaperto il caso e, il 19 luglio 2012, lo stato israeliano, seguendo le indicazioni date dal Ministero della Difesa, ha presentato alla Corte una notifica dettagliata in cui afferma che i palestinesi che avevano presentato ricorso non potevano rivendicare alcun diritto di vivere in quell’area poiché non erano ‘residenti permanenti’. Il 7 agosto 2012 la Corte ha deciso che la dichiarazione fatta dallo stato modificava sostanzialmente la situazione normativa e ha di conseguenza invalidato e respinto il ricorso presentato dai palestinesi. Perciò, il 16 dicembre gli avvocati che difendono i palestinesi presenteranno un nuovo ricorso presso l’Alta Corte di Giustizia israeliana. Se la Corte dovesse respingere il ricorso, otto dei dodici villaggi potrebbero essere evacuati.

Se questo si verificasse, le autorità israeliane potrebbero prendere decisioni contrarie a quanto stabilito dal diritto internazionale. Israele ha dichiarato che dopo la seconda guerra del Libano nel 2006, i livelli di sicurezza si sono decisamente alzati e, conseguentemente, è prioritario provvedere ad addestramenti regolari delle truppe: questo si traduce nella necessità di una quantità maggiore di aree di addestramento militare o “firing zone”, tra cui quella di Masafer Yatta.

Tuttavia, tale esigenza da parte dell’esercito israeliano non è direttamente collegata all’occupazione, dal momento che si riferisce ad esercitazioni di routine dell’IDF (Israeli Defense Forces); pertanto, in base a quanto stabilito dal diritto internazionale, in questo caso non si può parlare di “necessità militari”. Ciò significa che le misure che potrebbero essere adottate risulterebbero illegittime in quanto non ammesse dal regolamento dell’Aia e costituirebbero una grave violazione della IV convenzione di Ginevra, per la quale l’addestramento militare di routine non può essere considerato una “necessità militare”.

Inoltre, anche se si consentisse la creazione di una “firing zone” destinata all’addestramento militare, il diritto internazionale umanitario (IHL) in nessun caso potrebbe giustificare gli espropri e le restrizioni alla libera circolazione nei dodici villaggi. Ai sensi dell’art. 46 della dichiarazione dell’Aia, la proprietà privata deve essere rispettata e non può essere confiscata; nonché la distruzione della proprietà privata per la creazione di una zona militare, adibita all’addestramento delle truppe, non trova giustificazione in quanto non costituisce una “necessità militare”.

Date le circostanze, la prevista distruzione dei villaggi con lo scopo di utilizzare la “Firing Zone 918” costituirebbe una palese violazione dell’art. 53 della IV Convenzione di Ginevra e una grave violazione ai sensi dell’art. 147.

Infine, in materia di divieto di trasferimento forzato, il diritto internazionale umanitario non fa alcuna distinzione tra residenti permanenti e non permanenti, come fa invece la legislazione israeliana. Cacciare forzatamente qualsiasi abitante o comunità appartenente ai dodici villaggi (che sia per permettere l’addestramento militare o che sia per la mancanza di permessi di costruzione) è una violazione dell’art. 49 della IV Convenzione di Ginevra e costituisce un’altra grave violazione dell’art. 147. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), dal 1967 Israele ha destinato circa il 18% della Cisgiordania alla creazione di “zone militari chiuse” adibite ad attività di addestramento militare (senza contare le “zone militari chiuse” che circondano gli insediamenti israeliani, tutte le terre collocate tra il muro e la Green Line, ecc), rendendo queste aree effettivamente inaccessibili ai palestinesi.
L’esistenza della “Firing Zone 918” costituisce una violazione dei diritti umani fondamentali. La sua abolizione sarebbe un primo passo per permettere agli abitanti palestinesi dell’area l’accesso a:
– il diritto ad una vita dignitosa;
– la libertà di movimento;
– il diritto alla proprietà privata;
– il diritto all’istruzione;
– il diritto al lavoro;
– il diritto alle cure mediche;
– la libertà di culto.

Date queste circostanze, chiediamo con forza:
– il rifiuto alla richiesta del Ministero della Difesa israeliano di evacuare l’area;
– l’abolizione della “Firing Zone 918”;
– il rispetto dei diritti e della dignità delle comunità palestinesi delle colline a sud di Hebron.

Promotori

– Popular Struggle Coordination Committee

– South Hebron Hills Popular Committee

– Operazione Colomba – Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”

– ISM – International Solidarity Movement

– CPT – Christian Peacemaker Teams

– Ta’ayush

– AIC – Alternative Information Center

– Comet-ME

Per maggiori informazioni:

Sito web: www.nofiringzone918.org / www.operazionecolomba.it/nofiringzone918
Email: nofiringzone918@gmail.com

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