Cairo: i sostenitori di Mubarak non cessano le violenze


NEAR EAST NEWS AGENCY


Sono cinque i morti e 1.500 i feriti di ore di scontri, violenti anche nella notte, avvenuti intorno a Piazza Tahrir, innescati dagli uomini del regime che ieri hanno attaccato i manifestanti che chiedono le dimissioni immediate del presidente egiziano.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Cairo: i sostenitori di Mubarak non cessano le violenze

Le luci del giorno hanno chiuso una delle notti più difficili della storia recente dell’Egitto, che rischia di spalancare le porte della guerra civile davanti al paese. Sono almeno cinque i morti e 1.500 i feriti di ore ed ore di scontri tra fazioni opposte dentro e intorno a Piazza Tahrir al Cairo. Scontri innescati dagli assalti lanciati da migliaia di sostenitori di Hosni Mubarak contro i manifestanti che pacificamente dal 25 gennaio contestano il regime e chiedono le dimissioni immediate del presidente egiziano. E’ accaduto di tutto. Spari, lanci di bottiglie incendiarie e pietre anche dai piani superiori di alcuni edifici, pestaggi di persone inermi e aggressioni a giornalisti. Uno dei combattimenti più violenti si è svolto accanto al Museo Egizio, preso di mira ripetutamente con bottiglie incendiarie dai sostenitori di Mubarak, in buona parte beltagi, gli agenti della polizia in abiti civili. Stamani l’esercito, rimasto in disparte durante gli scontri, ha messo in fuga uomini che da un auto in corsa hanno sparato contro manifestanti anti Mubarak riuniti piazza Abdel Monen Said. I fatti di queste ultime ore sembra aver incrinato ulteriormente i rapporti tra Mubarak e Washington. Il Segretario di stato Clinton da ieri comunica solo con il vice presidente Omar Suleiman al quale ha chiesto di avviare subito la transizione del potere.

Fonte: www.nena-news.com

3 febbraio 2011

***

Pubblichiamo  il resoconto degli ultimi avvenimenti al Cairo che appare oggi sul quotidiano Il Manifesto.

LA VENDETTA

Dopo l’ambiguo messaggio di Mubarak i suoi uomini danno l’assalto ai manifestanti della piazza Tahrir. Selvaggia caccia all’uomo, con morti e feriti, nell’assenza di esercito e polizia. Situazione esplosiva e Obama chiede «moderazione».

Manifestanti anti-Mubarak pestati selvaggiamente, giornalisti aggrediti, lanci di sassi contro donne e ragazzini, cariche con cavalli e cammelli, raid dei «beltagi», gli uomini della polizia segreta.
Gli egiziani ieri mattina si sono svegliati pensando di essere all’alba di un nuovo giorno, vicini all’uscita di scena definitiva di Hosni Mubarak che, martedì sera, aveva annunciato la rinuncia a ricandidarsi alle elezioni del prossimo settembre. Certo, non era abbastanza per il popolo egiziano che chiede con forza che il presidente-faraone metta fine subito a trent’anni di potere ininterrotto e brutale. Ma quel discorso rappresenta un successo e un punto di partenza importante per i tanti che hanno occupato per giorni piazza Tahrir e sfilato per le strade di Alessandria, Suez e altre città, al solo scopo di cacciare via Mubarak e i suoi fedelissimi e dare la libertà all’Egitto.
Invece il 2 febbraio verrà ricordato come il giorno della vendetta, il giorno in cui il regime ha rialzato la testa come un serpente e ha colpito avvelenando il paese. Le frasi pronunciate martedì sera dal raìs sono state come la parola d’ordine per gli attivisti del Partito nazionale democratico (Pnd) e per migliaia di agenti di polizia e dei servizi di sicurezza rimasti ingabbiati per 5 giorni dopo aver massacrato almeno 300 civili egiziani tra venerdì e sabato scorsi. Ieri hanno fatto di tutto per trasformare la rivolta pacifica di un intero popolo nel preludio di una guerra civile.
Tutto è cominciato in un’atmosfera apparentemente tranquilla. Gruppetti di poche decine di persone hanno cominciato a radunarsi nei pressi della sede della Lega araba scandendo «Mubarak, Mubarak», e mostrando i ritratti del presidente. Contemporamente altri «sostenitori» del raìs su viale del tramonto bloccavano il traffico sul ponte Gamaa a pochi metri dall’ambasciata israeliana, davanti allo zoo e vicino al Borg al Gamaa. Soprattutto hanno occupato piazza Talat Harb per lanciare un chiaro avvertimento ai leader delle forze dell’opposizione che in un edificio vicino hanno dato vita al «nuovo parlamento», alternativo a quello ufficiale occupato «illegalmente» dai deputati del Pnd usciti «vittoriosi» dalle elezioni-farsa dello scorso autunno. «Viva il presidente Mubarak, viva l’eroe Mubarak», scandivano accompagnati dai clacson azionati da alcuni taxisti compiacenti. «Il raìs ha combattuto e rischiato di morire durante la campagna del 1973 (la guerra del Kippur) contro l’occupazione (israeliana). Merita rispetto, ha fatto del bene e invece quelli in piazza Tahrir lo trattano come un nemico», ci ha spiegato Amr, sulla sessantina, un militante del Pnd.
Pacifica era stata anche la manifestazione pro-Mubarak, con migliaia di persone, a Mohandesin, un quartiere del Cairo popolato da impiegati e funzionari pubblici vicini al regime. Ma la trappola era pronta.
All’improvviso prima centinaia, poi migliaia di manifestanti fedeli al presidente si sono rovesciati su piazza Tahrir con bastoni, pietre, sbarre di ferro e anche coltelli per attaccare gli egiziani che pacificamente protestano contro il regime. Sono arrivati da ogni punto, dalle viuzze, cogliendo la piazza di sorpresa. Hanno usato anche cavalli e cammelli ma la reazione della piazza non si è fatta attendere. E’cominciato così uno scontro selvaggio andato avanti per ore e che si è svolto soprattutto lungo la strada che costeggia il museo Egizio e nei pressi della sede della Lega araba. Ad ogni attacco dei pro-Mubarak, la folla ha formato un blocco impenetrabile. Ma l’aggressione si è fatta sempre più pesante con il passare delle ore. Usando come riparo alcuni automezzi dell’esercito giunti per raccogliere i rifiuti che si sono accumulati in piazza Tahrir, gli attivisti del Pnd e gli agenti in borghese beltagi hanno intensificato il lancio di sassi e i raid nelle stradine laterali per catturare e pestare gli avversari egiziani e, quando possibile, anche i giornalisti. Un reporter belga è stato arrestato per motivi oscuri, picchiato e colpito alla testa il corrispondente della Cnn. La televisione panaraba Al Jazeera ha mostrato il tesserino di un poliziotto, fermato dai dimostranti, per dimostrare che ad orchestrare tutto sono stati i servizi di sicurezza, nonostante le smentite del regime.
Il principale rappresentante dell’opposizione, Mohammed El Baradei ha più volte esortato i comandi militari ad intervenire contro gli aggressori. Ma l’esercito è rimasto a guardare, ha evitato di intervenire – tranne che in un paio di occasioni – lasciando, incredibilmente, che la rabbia dei pro-Mubarak si sfogasse contro gente inerme. Ha mosso i carri armati verso il centro di piazza Tahrir solo quando i mezzi corazzati sono stati colpiti da alcune bottiglie incendiarie. Non è intervenuto neppure quando decine di bombe molotov sono state scagliate contro la facciata sinistra del museo Egizio. Le fiamme si sono sviluppate nel giardino del museo e ieri sera non era chiaro se abbiano raggiunto anche le sale che custodiscono i reperti. Gli scontri in serata erano ancora in corso ma gli sbirri del regime non sono riusciti a «ripulire» piazza Tahrir come volevano.
Il bilancio è pesante, le ambulanze hanno fatto la spola tra gli ospedali e la zona degli scontri. Almeno 500 i feriti ma Al Jazeera ha riferito anche di morti, persone colpite, forse, dalle raffiche sparate dalle guardie del Museo. La regista Hanan El Shim sostiene che le vittime sarebbero una ventina. Il ministero della sanit ha parlato di un solo morto e di 350 feriti.
Senza di me è il caos. E’ questo il messaggio che Mubarak ha lanciato ieri. A sostenerlo è anche un diplomatico Usa. Sono i manifestanti pro-Mubarak che al Cairo «cercano di provocare l’instabilità del paese» e sono stati «chiaramente assunti con questo obiettivo», ha detto alla Cnn l’ex-vicesegretario di stato americano Jamie Rubin, secondo il quale quella che si è vista per le strade del Cairo a manifestare pro-Mubarak è «una folla in affitto».
Da Washignton però è giunto un commento troppo morbido di fronte alla gravità dell’accaduto. «Gli Stati uniti deplorano e condannano la violenza esplosa in Egitto e sono profondamente preoccupati dagli attacchi contro i media e contro i manifestanti pacifici. Ribadiamo la nostra ferma richiesta di moderazione», ha comunicato Robert Gibbs, portavoce della Casa bianca. Ben poco se confrontato con quanto accaduto ieri al Cairo.
Il regime prova a rimescolare le carte e, con il caos e la instabilità, potrebbe dare vita ad una giunta militare per «riportare l’ordine» nel paese. Un sospetto diffuso tra le opposizioni che si sono riunite ieri nella sede del partito Ghad . Dopo un incontro durato circa due ore, i rappresentati dei movimenti della società civile Kifaya e 6 Aprile, dei Fratelli musulmani e dell’Assemblea nazionale per il cambiamento (Anc), hanno deciso di «rifiutare il dialogo sino a quando il regime si dimostrerà sordo» e di «continuare l’intifada popolare fino alla partenza di Mubarak. Abdel Galil Mustafa dell’Anc è stato eletto segretario del costituente Comitato politico dell’opposizione unita. Ma la situazione è incandescente e confusa. Tutto può succedere, tutto può cambiare nel giro di poche ore.

di Michele Giorgio, Il Manifesto

3 febbraio 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento