Breve storia di diritti censurati. C’era una volta?


Piero Piraccini


Si sono resi necessari ben 363 anni per poter udire queste parole: “Ebbe, purtroppo, molto a soffrire da parte di uomini e organismi della Chiesa”. E’ Giovanni Paolo II che parla di Galileo mentre commemora il centenario di Einstein, nel 1979.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Breve storia di diritti censurati. C’era una volta?

Si sono resi necessari ben 363 anni per poter udire queste parole: “Ebbe, purtroppo, molto a soffrire da parte di uomini e organismi della Chiesa”. E’ Giovanni Paolo II che parla di Galileo mentre commemora il centenario di Einstein, nel 1979.
Cosa era successo fino ad allora?
Agli inizi del ‘600 Copernico, canonico polacco, sosteneva tesi anomale per quei tempi: “il centro della Terra non è il centro dell’Universo “ e “tutti i pianeti si muovono lungo orbite che hanno come centro il Sole il quale, perciò, deve considerarsi come centro del mondo”.
Tesi che Galileo, a fronte della religione che voleva i cieli incorruttibili e finiti (e poi, non sosteneva Lutero che “è il sole che Giosuè ha ordinato di fermarsi, e non la terra?”), pur convinto della loro giustezza espone con prudenza fino a che, osservando con un nuovo cannocchiale il pianeta Giove, ne scopre i satelliti che cambiano posizione da una notte all’altra: dunque la Terra non è l’unico centro attorno cui si compiono le rotazioni celesti, dunque Copernico ha ragione.
Ha un bel dire il cardinale Baronio che “l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia in cielo e non come vadia il cielo”, ed ha un bel difendersi Galileo: “se bene la Scrittura non può errare, possono non di meno errare i suoi interpreti (…) quando volessero fermarsi sempre sul puro senso letterale”. Gli undici teologi del Sant’Offizio sono unanimi nell’affermare che la teoria di Copernico “è stolta e assurda in filosofia, e formalmente eretica, in quanto contraddice espressamente le sentenze della Sacra Scrittura”, cosicché papa Paolo V ordina al cardinale Bellarmino “di convocare Galileo e di ammonirlo a lasciare la detta opinione (…) e se non si sottomette sia carcerato”. Galileo il 26 febbraio 1616 fa atto di ubbidienza alla Chiesa. Il decreto di censura, tuttavia, non parla di abiura né esplicita il nome di Galileo sia per la sua amicizia col Granduca di Toscana sia per la sua fama di scienziato estesa all’intera Europa.
I problemi veri arrivano a seguito della stampa del Dialogo sui massimi sistemi dove Galileo fa  discutere tre interlocutori sulle tesi copernicane, illustrandone i pro ed i contro. Non piacciono al papa Urbano VIII le conclusioni del libro favorevoli alla teoria eliocentrica, anche perché si riconosce nel personaggio goffo e saccente (Simplicio) che nel libro confuta quella teoria cosicché, di nuovo, il Sant‘Offizio lo sottopone a processo. Anziano e malato, dopo giorni di interrogatori e minacce (“la invito a dire la verità, altrimenti saremo costretti, se necessario, a ricorrere anche ai mezzi previsti dalla legge, ossia alla tortura”), Galileo dichiara che “tengo ancora per verissima ed indubitata l’opinione di Tolomeo, cioè la stabilità della terra et la mobilità del sole”. Accusato di eresia, condannato al carcere, proibito il suo libro sui Dialoghi, è costretto a leggere ed a firmare l’abiura del risultato dei suoi studi sull’universo.  
Questo avvenne il 22 giugno del 1633.
Solo nel 1992 la Chiesa, nominata un’apposita commissione, riconosce con atto solenne l’errore d’aver consentito “una opposizione costitutiva tra scienza e fede” mentre “tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato”, ed annovera Galileo fra i grandi. D’altronde era stata la Gaudium et spes, sulla scia del Concilio Vaticano II, ad affermare che “esistono due ordini di conoscenza distinti, cioè quello della fede e quello della ragione (da cui discende) la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze”.
E ora?
A fronte del nobile gesto dimostrato appena un decennio fa per superare tempi di censure operate sulle idee, che senso ha l’atteggiamento chiuso e vittimistico di questi tempi in cui il dissenso esplicitato da appena l’1,5% di un Senato Accademico e la chiassosità d’un centinaio di studenti, comporta il rifiuto del Papa per lesa maestà, come se la dignità d’esistere d’ogni pezzo di Stato fosse riconosciuta previa l’accettazione dei contenuti fideistici della Chiesa, chè quelli religiosi sono altra cosa? La quale Chiesa ormai parla a tutti i cittadini, credenti o non, il linguaggio d’un qualunque partito politico. Per cui ad ogni ora d’ogni giorno interviene nella tv pubblica su ogni tema “eticamente sensibile” che configura valori a suo dire non negoziabili, dai degradi delle città ai finanziamenti a scuole ed ad ospedali cattolici, dalle leggi sulla fecondazione agli orientamenti sessuali delle persone, dalla vita privata delle coppie alle leggi sull’aborto e sul divorzio. Intervenendo sui diritti civili con una forza che potrebbe essere ben altrimenti diretta. Limitando sia la laicità dello Stato sia la libertà dei cittadini, credenti e non, perché anche il credente si sente a disagio vedendo imposta ad altri la propria visione della vita (quella ultraterrena, fra l’altro).
A quando un’indignazione protratta nel tempo sino a farla diventare senso comune, per un’organizzazione sociale ed economica che discrimina i più deboli sino ad ucciderli nel posto di lavoro? o nei confronti di chi pretende di insegnare i 10 Comandamenti essendo i primi ad ignorarli? E non imbarazza il presidente della CEI, Bagnasco, che ritira la sua pensione di generale di corpo d’armata?
Intanto, mentre le piazze si riempiono grazie alla sua (della Chiesa) potenza mediatica, si  svuotano chiese, conventi e seminari.
Sosteneva Galileo nel Dialogo che “quel che il senso e l’esperienza ci dimostra si deve anteporre ad ogni discorso, ancorché fondato ne fosse”. E’ bene farne tesoro, ora per allora.

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento