Banca mondiale: economia Palestina è prigioniera


Michele Giorgio - Near Neast News Agency


L’economia palestinese potrebbe crescere in modo vertiginoso, se non ci fossero le restrizioni imposte dall’occupazione israeliana sul 60% della Cisgiordania.


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Parla chiaro un rapporto appena pubblicato della Banca mondiale. L’economia palestinese potrebbe crescere in modo vertiginoso, anche di 1/3 in breve tempo, se non ci fossero le restrizioni imposte dall’occupazione militare israeliana sul 60% del territorio della Cisgiordania: la cosiddetta area C dei territori occupati tuttora sotto il controllo esclusivo di Israele. «Più della metà della Cisgiordania, un buona parte della quale ricca di potenzialità agricole e di risorse, è inaccessibile ai palestinesi», denuncia la Banca mondiale che stima in 3,4 miliardi di dollari il mancato introito dovuto all’occupazione israeliana.

Se fosse autorizzato lo sviluppo dell’imprenditoria locale e sfruttamento agricolo nell’area C, il Pil palestinese crescerebbe d’un balzo di un 35 per cento.

A favorire questa crescita – spiegano gli autori del rapporto – sarebbero l’agricoltura e lo sfruttamento dei minerali delle rive palestinesi del Mar Morto, nel caso venissero eliminate sia le restrizioni di movimento e accesso in vigore e gli altri ostacoli agli investimenti palestinesi nell’area C. Ciò migliorerebbe di molto, grazie a queste entrate supplementari, anche la situazione delle casse dell’Autorita’ nazionale palestinese. Una iniezione di almeno 800 milioni di dollari, sostiene la Banca mondiale, somma in grado di alleggerire notevolmente la dipendenza dell’Anp dall’intervento dei donatori stranieri.

Già nei mesi scorsi la Banca Mondiale aveva messo sul tavolo alcuni dati sugli effetti che l’occupazione ha sul lavoro e il commercio in Cisgiordania. I ricercatori hanno stabilito che i posti di blocco israeliani, restringendo il movimento di beni, servizi e lavoratori e rendendo la produzione più costosa, hanno avuto un forte impatto negativo sui residenti della Cisgiordania. Tra il 2000 e il 2005, ad esempio, i dati mostrano che c’è stato un calo del 17% – dal 58% al 41% – nelle vendite delle imprese della Cisgiordania fuori dalla loro area di affari. I lavoratori vengono frequentemente fermati ai posti di blocco, fattore che diminuisce le loro opportunità di trovare un lavoro. Analizzando i dati dal 2000 al 2009, i ricercatori hanno notato che, nel migliore degli scenari, un solo posto di blocco a un minuto di distanza dalla propria cittadina riduceva il potenziale di occupazione dei residenti dello 0,5% e la paga oraria del 5,2%. I dati potrebbero apparire bassi, ma i ricercatori stimano che ciò si sia tradotto, nel solo 2007, in 6.900 persone disoccupate in più rispetto a quanto sarebbe accaduto senza posto di blocco. Ovvero, una perdita di 38 milioni di dollari. Se si guarda solo all’impatto sulle paghe orarie, la perdita ammonta a 229 milioni di dollari, circa il 6% del Pil della Cisgiordania nel 2007.

In un altro rapporto, pubblicato a marzo, sempre la Banca mondiale dimostra che fino quando le sanzioni israeliane andranno avanti non c’è speranza di una crescita economica sostenibile in Cisgiordania, soprattutto in un contesto di assenza di progressi politici.

Fonte: Nena News

8 ottobre 2013

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