Ai giovani scontenti


Flavio Lotti


50 anni fa moriva a Perugia, Aldo Capitini un uomo da riscoprire. Il ricordo di Flavio lotti e di un gruppo di giovani studenti.


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Grazie AldoCapitini

Il 19 ottobre 1968 moriva a Perugia Aldo Capitini, un uomo da riscoprire.

Lo dico soprattutto ai giovani che sono scontenti della realtà e che sentono di volerla cambiare. A tutti i giovani che vogliono imprimere una svolta nella propria vita.

Aldo Capitini è un uomo importante perché ha cercato di trasformare una realtà e una società dominata dal fascismo, dalla violenza, dai nazionalismi, dalla guerra e da gravissime ingiustizie.

Aldo Capitini fu un vero rivoluzionario, com’è oggi Papa Francesco. Un rivoluzionario e un educatore. Davanti alle tante violenze e ingiustizie che ci inquietano Aldo Capitini ci parla di amore, di liberazione, di pace, di nonviolenza, di potere di tutti, di potere dal basso.

Ogni suo pensiero ha la capacità di generare cose nuove, di trasformare la realtà. Seguendo il suo altissimo esempio possiamo ritrovare la strada verso un futuro migliore per tutti.

Flavio Lotti, Coordinatore della Tavola della pace

 

Perugia, 19 ottobre 2018

 

Ecco alcuni dei suoi pensieri selezionati e presentati da un gruppo di studenti di Marsciano (Perugia).

 

A scuola con i nostri insegnanti abbiamo riflettuto sulla figura di Aldo Capitini che possiamo definire filosofo, politico, intellettuale, religioso…

 

Quello che più ci ha colpito della sua persona è la coerenza tra pensiero e vita, come ad esempio la sua filosofia della nonviolenza si è concretizzata nella scelta vegetariana, come la lotta per la libertà individuale si è esplicitata nell’antifascismo, nella “costruzione” della pace.

 

Alcuni di noi hanno partecipato alla marcia per la pace ed hanno raccontato di come è stata un’esperienza veramente coinvolgente “dove si respirava un clima di vera unità”.

 

In classe abbiamo riflettuto su uno dei temi più importanti del pensiero di Capitini, quello della nonviolenza la quale non è sinonimo di viltà ma richiede impegno, responsabilità lavoro instancabile.

 

Infatti come afferma lo stesso Capitini nell’opera Le tecniche della nonviolenza:

 

“La nonviolenza non è inerzia, inattività, lasciar fare; anzi essa è attività, e appunto perché non aspetta di avere le armi decisive, cerca di moltiplicare le iniziative e i rapporti con gli altri, e sa bene che si può sempre fare qualche cosa, se non altro trovare degli amici, dare la parola, l’affetto l’esempio, il sacrificio; e tante volte accade che i rivoluzionari, gli oppositori che contano solo sulle armi, se non le hanno stanno inerti, e sono sorpassati dai più forti, mentre i nonviolenti, lavorando instancabilmente, hanno tolto il terreno ai potenti, hanno preparato il cambiamento. Insomma si può dire che i nonviolenti sono come le bestie piccole, che sono più prolifiche, e le loro specie durano più di quelle delle bestie gigantesche.” (Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli p.30)

 

Come si capisce da queste parole, la nonviolenza non è un fine utopico ma un fine concreto da perseguire. Tutti in classe eravamo d’accordo che la pace sia un fine giusto e tra di noi abbiamo dibattuto sul rapporto mezzi e fini, chiedendoci se la pace può essere perseguita con ogni mezzo, se il fine giustifica i mezzi, se ha senso parlare di guerra preventiva e dire “se vuoi la pace prepara la guerra”… Alla fine la risposta più giusta ci è sembrata proprio quella di Capitini poiché, ammesso che si possa raggiungere la pace con metodi violenti, questa non sarà mai permanente in quanto in essa rimangono le tracce di quella violenza che lascia rancori e volontà di vendetta.

 

Capitini afferma sempre nell’opera Le tecniche della nonviolenza:

 

Nella grossa questione del rapporto fra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile «Se vuoi la pace prepara la guerra», ma attraverso un’altra legge: «Durante la pace prepara la pace».”

 

Sul rapporto mezzi/fini Capitini citava Gandhi: “Il mezzo può essere paragonato ad un seme, il fine ad un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero.”(Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, p.11-12)

 

Un altro messaggio caro a Capitini sul quale abbiamo riflettuto a scuola è quello dell’omnicrazia. Tale tematica l’avevamo in parte già sviluppata lo scorso anno all’interno del progetto “Democrazia e partecizione” promosso dal Centro studi storico-filosofici di Marsciano.

 

Soprattutto oggi che viviamo in un periodo di crisi economica, politica, valoriale in cui vi sfiducia nelle istituzioni, ci è sembrato estremamente attuale e significativi l’invito di Capitini a prendere coscienza che il potere è di tutti, che ognuno ha il diritto e dovere ad impegnarsi a vantaggio di tutti. Capitini sostiene l’importanza delle assemblee che permettono a tutti di parlare, ascoltare e giudicare… è un invito anche a noi studenti ad utilizzare le assemblee scolastiche come luogo di partecipazione e confronto.

 

Riguardo possiamo leggere un passo tratto dall’opera “il potere di tutti”:

 

“Ogni società fino ad oggi è stata oligarchica, cioè governata da pochi, anche se rappresentanti di molti; oggi specialmente, malgrado la diffusione di certi modi detti democratici, il potere (un potere enorme) è in mano a pochi, in ogni Paese. Bisogna, invece, arrivare ad una società di tutti, alla omnicrazia.”[…] Ognuno deve imparare che ha in mano una parte di potere, e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti; deve imparare che non c’è bisogno di ammazzare nessuno, ma che, cooperando e non cooperando, egli ha in mano l’arma del consenso e del dissenso. E questo potere lo ha ognuno, anche i lontani, le donne, i giovanissimi, i deboli, purché siano coraggiosi e si muovano cercando e facendo, senza farsi impressionare da chi li spaventa con il potere invece di persuaderli con la libertà, la giustizia e l’onestà esemplare dei dirigenti.” […] L’affermazione che facciamo da anni… è che “il potere è di tutti”, e la prima concretizzazione di questo principio è il valore dell’assemblea permanente, o periodica (che è lo stesso)… Noi sostenevamo e sosteniamo che l’assemblea va costituita dappertutto. Nelle scuole, nelle fabbriche, nelle aziende agrarie, nelle parrocchie, negli ospedali, negli enti previdenziali e assistenziali,… perfino nelle carceri, nei limiti – ben s’intende – dell’ordine generale. Le assemblee hanno il compito di controllare le varie e onnipotenti burocrazie, di conoscere le entrate e le spese, di proporre mutamenti.” (Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969)

 

Noi giovani siamo pieni di speranze, di voglia di fare ma a volte ci sentiamo inadeguati e ci chiediamo cosa fare e Capitini ci risponde di non isolarci, di non pretendere di cambiare il mondo da soli ma di cercare instancabilmente gli altri.

 

Infatti per concludere vorrei leggere un passo tratto dall’opera “Le tecniche della nonviolenza” che sintetizza e interconnette i due temi da noi trattati, quello della nonviolenza e quello dell’omnicrazia:

 

“Che cosa fare? La risposta è questa: non isolarsi, non cercare di affrontare e risolvere i problemi importanti da ‘isolati’; da isolati non si risolvono che problemi di igiene, di salute personale e, se mai, di benessere ad un livello angusto. Per il problema sommo che è ‘il potere’, cioè la capacità di trasformare la società e di realizzare il permanente controllo di tutti, bisogna che l’individuo non resti solo, ma cerchi instancabilmente gli altri, e con gli altri crei modi di informazione, di controllo, di intervento. Ciò non può avvenire che con il metodo nonviolento, che è dell’apertura e del dialogo, senza la distruzione degli avversari, e influendo sulla società circostante per la progressiva sostituzione di strumenti di educazione a strumenti di coercizione. La sintesi di nonviolenza e di potere di tutti dal basso diventa così un orientamento costante per le decisioni nel campo politico-sociale. Si realizza in questo modo quella ‘rivoluzione permanente’ che se fosse armata e violenta, non potrebbe essere ‘permanente’, e sboccherebbe in un duro potere autoritario, cioè nella violenza concentrata dell’oppressione (…) La violenza, anche rivoluzionaria, prepara la strada ai tiranni. Altra cosa è la rivoluzione permanente non violenta, perché essa non bagna le strade e le case di sangue, ma unisce gruppi e moltitudini di persone.” (Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, p.39-40)

 

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