Addio a Nemer Hammad


Fabio Scuto


L’ex ambasciatore della Palestina a Roma ha partecipato a tante Marce Perugia-Assisi. Si è spento a Beirut dopo una lunga malattia. Aveva 75 anni. Per 27 anni in Italia, i rapporti con tutti i vertici della politica.


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Addio a Nemer Hammad, per 27 anni Mr. Palestina in Italia, l’ambasciatore dell’Olp nel nostro Paese. Si è spento, dopo una battaglia durata anni contro un male incurabile, nell’ospedale americano di Beirut. Sostenitore del dialogo di pace con Israele, nei lunghi anni trascorsi in Italia Hammad contribuì a cambiare in positivo l’immagine dei palestinesi, prendendo una netta posizione contro il terrorismo e aprendo il dialogo con tutte le forze democratiche. Divenne il volto e la voce delle istanze dell’Olp, gestendo anche momenti di crisi e tensioni in anni segnati da attacchi terroristici, come quelli a Fiumicino e alla sinagoga di Roma.

Era ben accolto in Piazza del Gesù, a Roma, dove c’era la sede della Dc, alle Botteghe Oscure come al quartier generale del Psi di Bettino Craxi che allora stava in via del Corso. «Quando arrivai a Roma nel 1973, con un falso passaporto siriano e il finto incarico di corrispondente dell’agenzia di stampa di Damasco avevo solo due recapiti in tasca: quello della Lega Araba e quello del Sismi», mi raccontò in una lunga intervista prima di lasciare l’Italia per tornare a Ramallah come consigliere diplomatico del presidente Abu Mazen nel 2005.

La bella casa romana era piena di scatoloni ricolmi di carte, bloc notes, foto, lettere. C’era molta Italia lì dentro, che riportava a diplomazie di altri tempi, canali paralleli, “operazioni delicate”. Nei Palazzi che contavano allora sedevano Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, la Seconda Repubblica spazzò tutto via, eppure Nemer Hammad seppe comunque pilotare la questione palestinese nelle stanze giuste.

Quando Hammad arrivò in Italia il clima era incandescente, il terrorismo palestinese colpiva in Europa, c’era stata da poco la strage di Monaco, Carlos “lo sciacallo” stava per sequestrare i ministri dell’Opec a Vienna. «Allora – raccontò Hammad – i rapporti fra Olp e Farnesina non esistevano ma finalmente nel 1974 a un convegno mi fu presentato Giancarlo Pajetta del Pci». E da allora per Hammad si aprirono le porte della Dc, del Psi, del Psdi. Comprese quelle che non erano mai state varcate come quelle del Vaticano, della Camera dei Deputati. (La fondina della pistola di Arafat, mi disse, che tante polemiche aveva provocato durante quella visita a Montecitorio era vuota).

Nel 1978 i killer di Abu Nidal uccisero suo fratello – rappresentante dell’Olp a Parigi – e Hammad a Roma si dotò di una scorta di due guardie del corpo palestinesi. «All’epoca fui io stesso a informare i servizi segreti italiani che avevano passaporti giordani falsi e falsi porto d’armi». Cossiga, allora ministro degli Interni, autorizzò l’acquisto delle armi. «Patti chiari mi disse, solo pistole e niente armi lunghe sennò tutti a casa. E noi stemmo ai patti».

«Uno dei momenti più toccanti per me fu quando rapirono Aldo Moro, che conoscevo personalmente», ricordava con sincero dispiacere, «a chiedermi aiuto non furono solo i leader democristiani, ma venni sollecitato anche dall’opposizione, da Craxi e da Berlinguer. Mi sarei mosso anche se nessuno avesse chiesto nulla, Moro era per noi un grande statista». Hammad ne parlò ad Arafat e all’allora suo braccio destro Abu Jihad (Khalil al Wazir). «Noi non eravamo in contatto con le Br – raccontò – ma Abu Jihad era convinto che a Berlino Est c’era qualcuno che poteva agganciarli… ma fu un buco nell’acqua».

È negli anni Settanta e Ottanta che Nemer Hammad mise tutto il suo impegno per evitare che l’Italia divenisse un campo di battaglia fra fazioni armate. «L’attacco dei terroristi di Abu Nidal alla sinagoga di Roma e poi all’aeroporto di Fiumicino fu un colpo alle nostre spalle, collaborammo con i servizi italiani. Un anno dopo identificammo tre terroristi a Roma che preparavano un attentato, lo segnalammo ai servizi che li arrestarono». «Noi – raccontava con calore – volevamo evitare l’equazione palestinesi=terrorismo, eravamo le prime vittime di Abu Nidal» che in quegli anni uccise sei ambasciatori palestinesi in Europa. «Gli italiani, da Craxi a Andreotti a De Mita – capirono in quale baratro venivamo spinti e chi si doveva aiutare».

Nel breve intervallo dagli anni romani di Nemer Hammad ci fu il dirottamento dell’Achille Lauro. Dodici ore dopo il sequestro squillò il suo telefono nell’appartamento che occupava a Belgrado, dall’altro capo del filo c’era Craxi che chiedeva consigli. Gli anni con Berlusconi al governo furono senz’altro diversi. «L’Italia negli anni si è dotata di una politica estera meno equidistante dal problema palestinese», confessò con serenità, «il filoamericanismo e il sostegno senza discussioni a Israele sono diventati un pilastro della politica estera italiana ma non siamo più negli anni Settanta. Oggi abbiamo anche noi un dialogo con gli Usa e dialoghiamo con Israele, ma non significa non esercitare un diritto di critica quando necessario».

uesti ultimi anni a Ramallah come consigliere di Abu Mazen erano spesso velati dalla malinconia per Roma, città che amava sopra ogni altra. Nell’ultimo caffè bevuto insieme alla Muqata accendendo l’ennesima sigaretta, mi disse con semplicità: «Che darei per mangiare un’altra pizza da Giggetto, dietro Piazza Navona». D’altronde alla Muqata lo chiamavano “l’italiano”.

Fonte: www.repubblica.it

29 settembre 2016

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