25 anni sulla strada di Balducci, per non tradirlo


Piero Piraccini


25 anni sulla strada indicata da Padre Balducci, per non tradirlo Padre Ernesto Balducci ci aveva detto: “Visto il vostro impegno, perché non istituite una sorta di Università della Pace?”. Lo prendemmo in parola: tempo poco più di un anno e a Cesena istituimmo l’Università della Pace “Ernesto Balducci”, con tanto di statuto, di notaio. […]


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liberalatina2014

25 anni sulla strada indicata da Padre Balducci, per non tradirlo

Padre Ernesto Balducci ci aveva detto: “Visto il vostro impegno, perché non istituite una sorta di Università della Pace?”.

Lo prendemmo in parola: tempo poco più di un anno e a Cesena istituimmo l’Università della Pace “Ernesto Balducci”, con tanto di statuto, di notaio. E di rettore: don Giovanni Catti. Era il 17 settembre 1993.

Ma Padre Balducci era morto nell’ospedale di Cesena il 25 aprile del 1992, a seguito di un incidente stradale.

Aveva scritto: “O il pacifismo fa un salto di qualità o naufragheremo nella pura testimonianza, nella pur nobile tensione etica che l’ha generato. Occorre darsi una strategia e degli obiettivi concreti: il primo è quello di puntare a riformare l’ONU, istituzione cardine per creare quella comunità mondiale che è il postulato intrinseco del rifiuto della violenza e che è possibile e necessario realizzare”.

In un incontro a Perugia sulle città denuclearizzate, per la loro trasformazione in Enti Locali per la Pace, aveva detto: “Le città devono trasformarsi in laboratori della cultura della pace. Il primo sentimento che deve avere l’uomo di oggi è di essere cittadino del mondo. Ormai viviamo in un mondo dove l’interdipendenza è sempre più stretta. Queste diverse culture devono vivere insieme non solo rispettandosi, che è principio illuministico settecentesco, ma conoscendosi e interrogandosi l’una con l’altra nell’attesa di doni nuovi”.

Poi l’Università della Pace è diventata Centro per il Pace ”Ernesto Balducci”, nel tentativo di accogliere le esperienze di altri gruppi associativi legati, in un modo o nell’altro, nella ricerca del bene comune della pace.

Da subito dovemmo confrontarci con la guerra nell’ex Jugoslavia iniziata nel 1991, una guerra che sembrava combattersi all’insegna del tutto contro tutti, ogni città contro ogni altra città, ogni etnia contro ogni altra etnia. Il primo dei problemi: se c’è guerra devono esserci i buoni e i cattivi, dunque con chi schierarsi? I croati, i serbi, i musulmani erano schierati l’uno contro l’altro! Come decifrare una guerra che si combatteva in una terra formata da “6 Repubbliche, 5 nazioni, 4 lingue, 3 religioni, 2 alfabeti ed un solo Tito?”.

Padre Balducci ci aveva ammonito: “Oggi la forma dell’autorità che impone, ha strumenti estremamente duttili e quasi inavvertiti, per cui per orientare una collettività verso un obiettivo non si ricorre più alla parola del tiranno che comanda: si mettono in moto meccanismi dell’opinione che arrivano a facilitare o ad assicurare il consenso”.

Leggemmo James Harff: “Il nostro lavoro non è verificare le informazioni. Il nostro mestiere è disseminare le informazioni il più rapidamente possibile per ottenere che le tesi favorevoli alla nostra causa siano le prime a uscire. Le smentite non hanno alcuna efficacia. Siamo dei professionisti. Non siamo pagati per fare della morale”. Era direttore di un’agenzia di comunicazione pagata per creare scenari credibili (Noam Chomsky le chiama “le illusioni necessarie”) e slogan accattivanti: “guerra umanitaria”, “azione di polizia internazionale”, “danni collaterali”.

Qualcuno di noi andò a Sarajevo con don Tonino Bello e mons. Bettazzi, mentre dalle colline la città era bombardata dalle artiglierie serbe. Le strade deserte (solo l’ONU poteva entrare in città) mentre la popolazione, da settimane asserragliata nelle case, scendeva in strada e salutava incredula piangendo.

Poi Mostar. Anzi, per dir meglio: Mostar est e Mostar ovest collegate da un ponte provvisorio sulla Neretva, costruito là dove pochi mesi prima sorgeva il ponte ad arco commissionato da Solimano il Magnifico nel 1557. “Tutti i ponti, con le loro radici sanguinanti di cemento o ferro, si annidano e crescono sulle rive. Solo Stari Mostar è cresciuto e vissuto nel verso Questo ponte è come il semicerchio dell’arcobaleno. Esiste qualcosa di simile al mondo. Dio mio?”. I nazionalisti croati, in ritirata sotto le cannonate dell’armata bosniaca musulmana fino a poco prima sua alleata contro i serbi, lo avevano distrutto.

Perchè vale sempre la sconsolata considerazione di Primo Levi che, al ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, si chiede “Se questo è un uomo”.

Proprio ad Auschwitz, il Centro Balducci accompagna ogni anno i ragazzi nel Treno della memoria. E’ un corso di formazione alla pace al quale aderisce un numero di scuole ormai superiore alle potenzialità e alle disponibilità economiche necessarie.

Alla fine del percorso i ragazzi leggono il nome di un deportato morto nel campo, ripetono la frase “io ti ricordo”. Molti conservano la striscia di stoffa con il nome scelto: il loro nome. Ognuno si fa testimone presso i coetanei di ciò che ha visto e sperimentato, intaccando dall’interno la cappa d’indifferenza e ignoranza che grava sulla nostra società. Perché se ogni guerra ha l’inizio che leggiamo nei libri di scuola, negli stessi libri non troviamo la data dell’inizio della sua vigilia. Di quando potevamo e non abbiamo agito. Sugli schermi vediamo scorrere le immagini delle repressioni in Siria, dei respingimenti in mare, dei profughi morti nel deserto della Libia, dei clandestini ammassati nei centri di detenzione: potrebbero costituire le vigilie di guerre ancora più grandi.

Oggi è il 25 Aprile. La festa della Liberazione. Scriveva Padre Balducci a proposito dei martiri di Noccioleta, uccisi dai nazisti mentre difendevano il loro posto di lavoro, la miniera. “Quando le 23 bare, qualche anno dopo, vennero portate al nostro paese, un urlo si levò dalla folla. Io ero stretto fra la gente. Non ero uno spettatore. Ero un traditore. Me ne ero andato per una strada dove uno passa per rivoluzionario solo perché scrive un articolo coraggioso che potrebbe perfino impedirgli la carriera. (…). Ma mentre Eraldo, Mauro, Luigi e gli altri hanno pagato con la vita la fedeltà al vero, io, noi sopravvissuti, che andiamo facendo? Celebriamo la Resistenza, che fu un immenso, glorioso sogno di pace, e nel frattempo lasciamo che i “nazisti dell’anno duemila” vadano disseminando su tutto il pianeta gli ordigni della morte. Questo sì che è un tradimento.”

25 aprile 2017

Piero Piraccini

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