Verso un’exit strategy. Ma quale?


Tiziana Ferrario


L’Italia piange i sei parà morti e si prepara a celebrare i funerali di stato domani, mentre è ormai chiaro che il dibattito politico sta virando rapidamente verso una dignitosa exit strategy dall’inferno afgano.


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Verso un’exit strategy. Ma quale?

L’Italia piange i sei parà morti e si prepara a celebrare i funerali di stato domani, mentre è ormai chiaro che il dibattito politico sta virando  rapidamente verso una dignitosa exit strategy dall’inferno afgano. Non ce ne possiamo andare da soli,è evidente,ma ormai  siamo in buona compagnia a pensarla allo stesso modo nella coalizione di paesi che hanno i propri soldati impegnati  in Afghanistan. Nel pieno della tragedia che ha colpito le nostre truppe è forse passato inosservato il discorso del presidente Obama tre giorni fa sulla necessità di riflettere in merito all’invio immediato di altri soldati. E ieri sera il vicepresidente Biden ala CNN ha ribadito che  è troppo presto per decidere se abbiamo bisogno di altri soldati'. l’America insomma,sembra frenare sull’invio di rinforzi nonostante le richieste del  generale Stanley McChrystal, responsabile delle operazioni in Afghanistan che giudicava i 21 mila marines offerti da Obama entro Natale non sufficienti e premeva per arrivare almeno a  40 mila altri soldati.Ieri Biden ha fatto capire che non arriveranno neanche quei 21 mila. “prima di decidere l'invio di ''decine di migliaia di soldati in piu''', ha detto,gli Stati Uniti devono aspettare l'esito finale delle elezioni in Afghanistan e che ''tutti gli effettivi che abbiamo accettato
di mobilitare nel marzo 2009 siano sul posto''. Tremila di questi soldati hanno ricevuto in questi giorni l'ordine di partenza, ha annunciato il capo del Pentagono Robert Gates: non si trattera' di soldati di prima linea ma di  militari di supporto logistico tra cui esperti di intelligence incaricati di fronteggiare la minaccia degli ordigni esplosivi artigianali, la maggiore fonte di pericolo per i militari Usa in Afghanistan. Ma è poca cosa, mentre si cerca di  tenere insieme un’alleanza che scricchiola.    Come negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna, che ha impegnato 9.100 uomini nella forza Isaf, i sondaggi hanno cominciato a virare contro la guerra dopo la morte di 22 soldati in luglio nella provincia di Helmand. Il governo di Gordon Brown finora tiene, mentre in Germania la cancelliera Angela Merkel
per la prima volta ha annunciato ieri la necessita' di una exit strategy anche se alla parola ''uscita'' ha preferito quella di di 'riconsegna' del Paese a Kabul. Ma come si fa a riconsegnare il paese ad un governo così debole? Non ci volevano questi risultati nelle elezioni afgane. Le inchieste sui brogli stanno paralizzando la situazione e allungano i tempi dell’insediamento  del nuovo esecutivo Karzai che da tempo parla di un dialogo con i talebani moderati e di un loro possibile ingresso  nel quadro politico. Una strategia che non dispiaceva ad americani e inglesi ma che il dopo elezioni instabile  rende irrealizzabile. I talebani con l’attentato ai nostri soldati hanno dato  prova di essersi rafforzati nella  strategia e nella dinamica dei loro attacchi. Se è vero –come ha dichiarato un comandante del famigerato clan degli Haqqani che si è trattato di un’operazione congiunta di più gruppi di insorgenti,e che altri kamikaze sono in attesa di agire nella capitale afgana, presidiatissima dai contingenti internazionali, dobbiamo purtoppo aspettarci ancora sangue.

Fonte: Articolo21

19 settembre 2009

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