Tunisia, continuano le proteste: chiuse scuole ed Università


Peace Reporter


La misura è stata adottato da Tunisi in seguito agli scontri tra agenti e studenti. Secondo la Fidh, il bilancio delle vittime sale ad almeno 35 morti.


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Tunisia, continuano le proteste: chiuse scuole ed Università

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si inasprisce la tensione in Tunisia, a seguito della chiusura di scuole e Università, decisione adottata dal governo per la partecipazione in massa degli studenti alle proteste.

Lunedì scorso è intervenuto il presidente Zine al-Abidine Ben Ali, accusando i dimostranti di compiere "atti di terrorismo" e denunciando il comportamento ingerente di potenze esterne, "invidiose del successo del paese".  Nel tentativo di impedire un' ulteriore degenerazione delle proteste, il presidente tunisino si è impegnato a combattere il problema della disoccupazione attraverso la creazione di "300mila posti di lavoro entro il 2012".

Le dichiarazioni di Ben Ali sono poi state seguite dal provvedimento di bloccare i corsi scolastici ed universitari a partire da martedì. Una misura adottata dalla dirigenza di Tunisi in seguito alle proteste degli studenti liceali nella capitale del paese e di studenti dell'Università di Rakkada nell'area di Kairouan, degenerate in violenti scontri con le forze dell'ordine.

Sale il bilancio delle vittime. Secondo Amnesty International sono almeno 23 le persone uccise dagli agenti di sicurezza durante lo scorso week end, mentre la presidente della Fidh, Souhayr Belhassen, ha riferito che gli scontri dell'ultimo fine settimana hanno provocato almeno 35 morti. Souhayr ha aggiunto che "la cifra di 35 morti si basa su una lista nominativa, ma il numero totale delle vittime, secondo alcune stime, è intorno alla cinquantina". Nonostante le misure repressive adottate dal governo centrale e la crescente violenza di questi giorni, le manifestazioni degli studenti sono proseguite a Cartagine, sede del palazzo presidenziale. L'Ue intanto condanna la situazione tunisina, esortando Ben Ali a rilasciare i dissidenti reclusi nelle carceri.

Fonte: Peace Reporter

11 gennaio 2011

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