Trattare con i talebani, no ma forse sì


Lettera22


Frattini in Pakistan. La Russa negli Stati Uniti. Boniver a Roma. Governo in ordine sparso sulla trattativa coi turbanti… La vecchia questione ritorna alla ribalta.


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Trattare con i talebani, no ma forse sì

Trattare o non trattare con i talebani. La vecchia questione ritorna alla ribalta mentre le notizie di una graduale ma costante avanzata degli studenti di Allah sul territorio afgano (pur se minimizzata dalla Nato) rimbalzano nelle cancellerie occidentali. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, in visita in Pakistan, parlando del vicino Afghanistan, dice "no" a un aumento delle truppe ma anche “no” a negoziati con i “terroristi”, lasciando uno spiraglio a tentativi di dialogo, pur ricordando che finora gli sforzi e i contatti mantenuti dal governo di Karzai non hanno prodotto grandi risultati. Frattini ha spiegato che sarebbe "un errore legittimare politicamente i talebani: è semmai giusto intavolare con loro dei colloqui, sulla scia di quanto fatto dall'Egitto con Hamas". Il capo della Farnesina è atterrato in Pakistan per incontrare il presidente Zardari, il premier Yusuf Raza Gilqau e il ministro degli Esteri Makhdoom Qureshi, portando il sostegno dell'Italia al processo di riforme e al rilancio della lotta al terrorismo. Frattini è il primo rappresentante di un paese europeo a compiere una visita ufficiale nel paese asiatico, da quando il 6 settembre scorso Zardari – vedovo di Benazir Bhutto, uccisa in un attentato nel dicembre 2007 – è diventato il 14esimo presidente della Repubblica del Pakistan, l'unica potenza nucleare del mondo islamico. Una visita lampo, non preannunciata: il ministro è rientrato in Italia in serata. Per tentare di risolvere l'incandescente situazione dei due stati confinanti, Pakistan e Afghanistan, alle prese con il terrorismo di matrice islamica, Frattini ha proposto di convocare una conferenza internazionale coinvolgendo a Cina, Emirati, Arabia Saudita e India. Si tratta, secondo il ministro, di un'iniziativa che l'Italia intende mettere in campo per aiutare i due paesi a uscire dalla profonda crisi politica ed economica che li avvolge. L'Italia, dunque, cerca e appoggia altre strade, di natura diplomatica, alternative alla forza militare. Anche perché, ha detto il ministro,"non è il caso di parlare di un aumento del contingente italiano", che resta sufficiente a "controllare una provincia strategica come quella di Herat nell'ovest del paese". Sebbene la situazione sul terreno resti difficile, “rispondere agli attacchi con la cooperazione, anziché con i raid, è la migliore strategia da seguire", ha aggiunto. Gli ha fatto eco il ministro della Difesa La Russa: confermando che "non è in programma l'invio di altri soldati", ma suggerendo di "allargare il numero delle nazioni che partecipano all'alleanza" e di trattare con "la parte più ragionevole dei talebani" La Russa ha detto, dopo un colloquio col segretario alla Difesa Usa Robert Gates, che “da parte degli Stati Uniti non è arrivata una richiesta di più militari da impiegare in Afghanistan” ma semmai un loro miglior utilizzo e che secondo gli americani non c'è un aumento della pericolosità nelle zone sotto il nostro controllo. Quanto ai negoziati coi talebani, per la Russa “non sono all'ordine del giorno”. Va anche registrata la poszione di Margherita Boniver (Forza Italia) che, due giorni fa, aveva invece parlato di un possibile negoziato coi taklebani moderati.

Fonte: Lettera22

21 ottobre 2008

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