In Siria prime vittime civili dei raid su Idlib


L'Osservatore Romano


Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), almeno tredici civili sono morti durante l’attacco dell’ultima roccaforte antigovernativa di cui Damasco vuole riprendere il controllo con il sostegno russo.


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IDLIB

I raid aerei sulla regione di Idlib compiuti ieri da velivoli militari russi e siriani hanno già fatto le prime vittime civili. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), almeno tredici civili sono morti durante l’attacco dell’ultima roccaforte antigovernativa di cui Damasco vuole riprendere il controllo con il sostegno russo.

Tra le vittime, sei bambini nel distretto di Jisr ash Shughur, il più colpito nelle ultime ore e dove le scuole sono state chiuse fino a data da destinarsi. L’Ondus, che ha base in Gran Bretagna ma che da undici anni monitora le violazioni nel paese grazie a una fitta rete di fonti sul terreno, afferma che i feriti sono una trentina e gli sfollati sono circa duecento. Da Ginevra, l’inviato speciale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha citato fonti siriane secondo cui la vera e propria offensiva non comincerà prima del 10 settembre. E nel Mediterraneo orientale proseguono intense le esercitazioni navali militari russe.

Mosca ha quindi respinto il monito di Donald Trump colpendo quello che i governi siriano, russo e iraniano definiscono un nido di terroristi. «Non si dovrebbe attaccare sconsideratamente Idlib», aveva scritto il presidente statunitense su Twitter. «Russi e iraniani farebbero un grave errore umanitario nel prendere parte a questa possibile tragedia. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere uccise. Non facciamo che questo accada!», aveva intimato. Da Mosca, il Cremlino ha risposto al presidente statunitense: «Lanciare semplicemente moniti, senza prestare attenzione al potenziale negativo e di grande pericolo per tutta la situazione in Siria, è un approccio incompleto».

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che dopodomani incontrerà i suoi omologhi russo e iraniano, Vladimir Putin e Hassan Rohani, entrambi sostenitori dell’offensiva di Damasco, teme dal canto suo un «grave massacro» e una nuova ondata di profughi. «Lì ci sono circa tre milioni e mezzo di persone», «se avviene un disastro, la loro destinazione numero uno è il nostro paese», ha dichiarato il leader turco, sperando che il summit di Teheran di venerdì, tra Turchia, Russia e Iran, possa portare a una soluzione che eviti l’escalation militare e un massiccio esodo di rifugiati.

5 settembre 2018

Osservatore Romano

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