Rifinanziamento uguale fallimento


Giulio Marcon, Campagna Sbilanciamoci!


L’approvazione, avvenuta ieri in via definitiva, del provvedimento di rifinanziamento della missione in Afghanistan porta il nostro paese a continuare una missione militare sbagliata, per niente umanitaria…


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Rifinanziamento uguale fallimento

L’approvazione, avvenuta ieri in via definitiva, del provvedimento di rifinanziamento della missione in Afghanistan porta il nostro paese a continuare una missione militare sbagliata, per niente umanitaria, subalterna alla logica di guerra imposta dagli Stati Uniti e dalla Nato dal 2001 in poi. Nonostante la propaganda di questi anni e qualche briciola stanziata (non più del 10% sul totale dei soldi dati ai militari) per gli aiuti a Kabul, la presenza occidentale e straniera oltre a mancare gli obiettivi che si era prefissati (sconfitta dei taleban e del terrorismo, ricostruzione del paese, democratizzazione), ha provocato morti e sofferenze tra la popolazione, e non solo per i gravissimi “effetti collaterali” delle azioni militari condotte sul campo, spesso in modo criminale. Dopo quasi dieci anni di presenza internazionale, si può sicuramente parlare di fallimento. La Nato e l’”Enduring Freedom” hanno resuscitato i taleban, rimesso in sella molti dei “signori della guerra” e rileggittimato una classe politica corrotta e connivente con terroristi e spacciatori di droga. La democrazia resta sulla carta, così come molto parziale è il rispetto dei diritti umani.
La “protezione dei civili” – obiettivo principale della missione internazionale – si è trasformata in una costante e continua “minaccia ai civili”, colpiti da bombardamenti, azioni chirurgiche, attentati e ritorsioni. Fanno bene Gino Strada ed Emergency a manifestare duramente le loro critiche contro una missione che ha confermato in questi anni un sempre più frequente connubio di ipocrisia umanitaria e cinica realpolitik. L’appuntamento del dibattito parlamentare sul rifinanziamento della missione – anche a seguito dell’oscura uccisione di Antonio Colazzo, numero due dei servizi segreti italiani in Afghanistan – avrebbe potuto essere l’occasione di una riflessione più coraggiosa sul senso e le funzioni della missione militare e del ruolo del nostro paese. Niente di tutto questo a parte – come ha fatto nei giorni scorsi il presidente Napolitano alla sede delle Nato a Bruxelles – rivendicare la nostra presenza in Afghanistam “in nome della sicurezza interna dell’Italia”. Quando ci dicevano che eravamo lì “per aiutare le popolazioni” e “portare la democrazia” evidente avevamo capito male: è per la “nostra sicurezza” che siamo a Kabul. Ma non basta. E così – a parte un generico richiamo ad una possibile conferenza della società civile afgana – il provvedimento di rifinanziamento è stato peggiorato inserendo l’immunità a favore dei nostri soldati per eventuali omicidi colposi da loro commessi (anche  questi, “effetti collaterali”) e per i crimini ambientali (ad esempio l’uso di uranio impoverito). La strada da seguire avrebbe potuto essere un’altra: la promozione di un’iniziativa e di una conferenza internazionale di pace – avviando un negoziato vero, coinvolgendo tutti – rimettendo la responsabilità sul campo e nella gestione dell’azione diplomatica alle Nazioni Unite, togliendo di mezzo la Nato e l’ “Enduring Freedom”, che tanti danni hanno provocato fino ad oggi. Si tratterebbe di continuare a stanziare, sì, tanti soldi ma non per la guerra e i bombardamenti, bensì per la ricostruzione del paese e la protezione dei civili.
Il problema è sempre lo stesso: non è l’opposizione militare a garantire le condizioni della pace, ma è la costruzione delle condizioni della pace a garantire una vera sicurezza del paese e della popolazione civile. Fino a quando non si capirà questa semplice verità continueremo ad essere complici di una guerra – come quella in Afghanistan – e della morte di tanti civili.   

Fonte: Il Manifesto

4 marzo 2010

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