“Radici” racconta la normalità e va oltre il sensazionalismo


Floriana Lenti


Al Premio Ilaria Alpi uno dei temi trattati, di grande attualità è stato quello sull’immigrazione. A Villa Mussolini è stato presentato il documentario “Radici. L’altra faccia delle migrazioni” firmato da Davide Demichelis in onda su Rai3.


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“Radici” racconta la normalità e va oltre il sensazionalismo

Al Premio Ilaria Alpi uno dei temi trattati, di grande attualità, è stato quello sull’immigrazione. A Villa Mussolini è stato presentato il documentario “Radici. L'altra faccia delle migrazioni” firmato da Davide Demichelis in onda su Rai3. Un vero e proprio viaggio alle radici di una persona e della sua cultura, del suo Paese e della sua gente. I protagonisti sono quattro ragazzi Rosa Carmina Ruiz, Mohamed El Atrabi, Nela Lucic e Magatte Dieng che vivono in Italia e che sono stati seguiti nelle loro terre d’origine. Il reportage porta gli spettatori in Bolivia, in Marocco, in Bosnia e in Senegal per raccontare il luogo di provenienza da cui arrivano i cittadini che vivono nella nostra Penisola, in cui gli italiani possono riconoscersi, rivedersi e da cui possono trarre interessanti considerazioni.
Il documentarista Davide Demichelis spiega cosa si nasconde dietro l’esperienza di “Radici”: “Nel 1994 mi trovavo in una cittadina deserta del Ruanda e vidi un locale illuminato con luci psichedeliche, curavo pezzi per la tv svizzera italiana e in quella occasione persi l’opportunità di raccontare una storia che andava fuori dai canoni. Questa volta abbiamo tentato di raccontare la normalità. Oggi ci propinano un’immigrazione di disperati, di difficoltà, di strazio; noi abbiamo voluto cogliere un altro aspetto”.
Il direttore di Rai3, Paolo Ruffini, entra nel vivo del rapporto tra informazione e immigrazione: “Non c’è un solo modo di fare televisione, Rai3 prova ad avere un criterio chiaro nelle proprie scelte: il rispetto della libertà d’opinione. L’obiettivo è quello di fare una tv che non pensi di dover raccontare se stessa. ‘Radici’ nega le leggi per cui si fanno ascolti solo con contenuti cattivi, ma anche il fatto che fare buona tv significa avere pochi ascolti. La nostra formula si incentra sul raccontare la realtà, la parola chiave è condividere”. A coordinare il dibattito Alessandra Camozzi, che non perde l’occasione di lanciare la provocazione a Paolo Ruffini chiedendo come mai determinati format televisivi di grande pertinenza e rilevanza sociale vanno in onda in orari scomodi come tarda serata o nottata. Il direttore di Rai3 risponde: “C’è una spiegazione a tutto. La tv trasmette 24 ore su 24, ‘Radici’ è un documentario di racconto, un’inchiesta e le inchieste vanno in onda anche in prima serata”.
Quanto può fare la televisione per incidere sull’opinione pubblica? Per Jean Lèonard Touadì, parlamentare del Pd con grande esperienza nel campo della comunicazione, il problema è “Quanto la tv in questi anni ha fatto in negativo. Tutti in tv hanno peccato nei confronti del tema dell’immigrazioni in pensieri, parole, opere e omissioni. Ora credo che stia iniziando ad accettare le novità dell’innesto e per questo la radice italiana non rimarrà secca. Ciò che è successo a Milano, città tappezzata di manifesti contro nomadi, stranieri, gay, lesbiche, musulmani è significativo. I milanesi hanno detto no. Solo sviluppando un alfabeto diverso dell’alterità possiamo valorizzare le similitudini”. E’ stato in Marocco con Mohamed El Atrabi il giornalista Luciano Scalettari di Famiglia Cristiana, ed ha raccontato: “Ho avuto la fortuna di muovermi in Africa per parecchi anni. Girando questo documentario ci siamo andati non per una calamità naturale, non per una guerra o una catastrofe, siamo andati alla scoperta di una micro-storia che però parlava italiano. A volte il problema è non avere una chiara interpretazione, in questo caso si è viaggiato insieme, siamo andati a trovare una famiglia, non siamo stati turisti. Con Mohamed abbiamo capito cose che da turisti non avremmo potuto comprendere. Pur con la presenza di tanti marocchini in Italia ci siamo accorti che le distanze con questo popolo ci sono e sono ancora molto grandi. Moltissime persone in Marocco parlano italiano, una grande fetta è stata in Italia, una parte è stata respinta”. Anche la moderatrice Alessandra Comazzi, dopo aver accompagnato la troupe in Bosna, sottolinea: “Vedere un Paese con un intermediario del posto che lì sente le sue radici crea emozione. Si cambia il modo di guardare, si percepisce l’empatia e credo che questo possa suscitare sensazioni forti anche nel pubblico”.

di Floriana Lenti, anche sul sito www.ilariaalpi.it

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