Processo a San Suu Kyi: è ora di agire


Cecilia Brighi


La vicenda di San Suu Kyi prosegue. E’ arrivato il momento di chiedere non più solo dichiarazioni di condanna, ma impegni concreti urgenti delle istituzioni italiane, europee ed internazionali per la liberazione immediata della leader birmana.


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Processo a San Suu Kyi: è ora di agire

Come è noto,  lunedì 18 maggio  il tribunale della prigione di Insein a Rangoon giudicherà questa donna straordinaria  accusata di aver violato le misure degli arresti domiciliari “per aver ospitato” il nuotatore americano.  Quale sia il confine tra quanto  la  ormai famosa “nuotata” sia stata una provocazione costruita dalla giunta o quanto la giunta abbia utilizzato questa irresponsabile azione non  è dato sapere con certezza. Il risultato comunque non cambia. La giunta militare  non ha mai voluto  liberare la leader birmana per nessun motivo e questo incidente  è arrivato al momento giusto. Permettere che la Signora possa parlare, muoversi ed organizzare l’opposizione sarebbe un rischio troppo grosso che bisogna evitare a tutti i costi.  La giunta che detiene il potere, i media, l’economia, le organizzazioni paramilitari che insieme ai servizi segreti spiano e controllano anche l’aria  che si respira,  la giunta che  ha ignorato  volutamente le segnalazioni sull’arrivo del ciclone Nargis,  la giunta che ha imposto con la forza il referendum lo corso anno,  non vuole essere disturbata da una donna.   Quelle del 2010 devono essere elezioni indisturbate. Per mantenere se stessa al potere anche per il futuro e per darsi una parvenza di credibilità istituzionale si è inventata anni addietro la cosidetta roadmap per la democrazia. Ha costruito ad arte una costituzione di cartapesta, l’ha fatta votare con un referendum il cui voto è stato estorto con la forza e i ricatti durante il post ciclone e ora  passa a rifarsi il trucco con le elezioni di un  parlamento a sua immagine e somiglianza. Secondo questa costituzione, il Capo dello Stato deve aver fatto parte dell’esercito e non può essere stato coniugato con un cittadino straniero. Una  misura è specificamente prevista allo scopo di impedire che Aung San Suu Kyi, possa essere democraticamente eletta e possa mai ricoprire tale carica. Viene vietato il diritto di voto agli appartenenti a ordini religiosi, quali ad esempio i monaci, come pure a tutti i prigionieri politici attuali e pregressi. In questo modo con un colpo solo si priva del diritto di voto, quasi tutta l’ opposizione organizzata alla dittatura. E poi va ricordato che il  25 % dei seggi del futuro parlamento saranno nominati dai militari. Non vi sarà indipendenza del sistema giudiziario, ne vi sarà una vera garanzia per le  libertà fondamentali, a partire dalla libertà di organizzazione politica, sindacale e il lavoro forzato potrà continuare attraverso l’utilizzo dei detenuti, dando legittimità a quanto ora si sta facendo, attraverso arresti diffusi  per crimini inventati in modo da avere  una costante e ampia manodopera a costo zero.
E’ pertanto evidente che non è possibile sostenere le elezioni e la costituzione nella loro forma attuale. La  giunta intende rimanere al potere  anche per  continuare a guadagnare cifre esorbitanti e per questo  deve   rifarsi la verginità di fronte ai governi del mondo.  Dalla esportazione di gas nel 2008  ha ricavato 3.5 miliardi di $.   Dove vadano a finire questi profitti non è dato sapere, visto che non sono  dichiarati e che nelle transazioni internazionali viene utilizzato il tasso ufficiale di cambio per nascondere buona parte di questi guadagni.  Perché nessun governo o istituzione internazionale non ha mai chiesto alla giunta militare dove vanno a finire gli enormi proventi derivanti dalle esportazioni birmane?  Perché nelle sedi internazionali, all’ASEM, Asean o all’ONU non si denuncia  il fatto che quello birmano è il primo esercito del Sudest asiatico e il decimo al mondo, quando il paese è alla fame e Transparency International ha  inserito la  giunta militare birmana come il secondo governo più corrotto al mondo? I militari sanno per esperienza  che basta un del fumo negli occhi, come delle pseudo elezioni  e un  futuro parlamento fantoccio per permettere ai governi amici: Cina, India, Russia e ai molti altri pseudo democratici alleati da sempre nelle sedi internazionali: Zimbabwe, Bielorussia, Vietnam, Cuba etc… di sostenere che finalmente si è voltato pagina e si può fare affari indisturbati. Ora tutto questo non è più accettabile.  I governi non possono più mostrare solo  indignazione e scandalo.  Cosa fare? Molte sono le azioni politiche che potrebbero essere messe in campo.  L’ONU e l’ASEAN dovrebbero decidere di inviare urgentemente un loro inviato di alto livello  in Birmania e dovrebbe essere convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza,  per decidere misure urgenti tra cui   un embargo sugli armamenti. Si sa che vi sarà sicuramente l’opposizione di Cina e Russia, ma  di fronte a quanto sta avvenendo sarebbe veramente oltraggioso che la comunità internazionale possa accettare il loro silenzio.  I governi del G8  possono negoziare con Cina e Russia  un cambiamento delle loro posizioni o  la crisi economica globale  costringe ad essere silenziosi con  un alleati  così potenti? E  possibile  rivedere almeno temporaneamente la partecipazione della Birmania all’Asem? La Birmania sta attraversando tre gravi crisi: una  crisi politica e/o costituzionale; una crisi socio-economica ed una crisi umanitaria. Per questo la comunità internazionale deve chiedere urgentemente non solo la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici, ma anche  un piano di riconciliazione nazionale, che si basi sulla verità e sul riconoscimento degli abusi  e delle violazioni dei diritti umani,  che preveda la revisione della costituzione effettuata con le organizzazioni democratiche e delle rappresentanze etniche, la definizione accordi  condivisi sulla divisione dei poteri durante la fase di transizione,  la garanzia di un sistema e di una legge elettorale democratica ed un piano economico per la transizione. Vi sono altre azioni urgenti che l’Unione Europea dovrebbe adottare compreso il rafforzamento delle sanzioni economiche,  recentemente rinnovate, come richiesto da sempre dalle organizzazioni europee a sostegno della democrazia in Birmania. Le attuali sanzioni non includono infatti ne i settori del Gas  ne dei settori finanziari ed assicurativi. E’ ora di  superare questi limiti. Ma andrebbe adottato anche un sistema di monitoraggio che eviti la triangolazione con i paesi limitrofi: Thailandia, Cina, Malesia costruendo un sistema di tracciabilità dell’origine dei prodotti. L’Italia che ospiterà il vertice  G8  dovrebbe farsi portatrice di una forte iniziativa politica  e diplomatica e dovrebbe sostenere attivamente le richieste del governo birmano in esilio e  delle organizzazioni democratiche, uscendo finalmente da una posizione defilata e timida anche per quanto riguarda questa area del mondo. Su questo terreno vi è il pieno accordo bipartisan in Parlamento, a partire dai contenuti di una risoluzione congiunta che approvata alla camera giace in Senato ormai da sei mesi.

(firma la petizione per il rilascio immediato di Suu Kyi su www.birmaniademocratica.org)

di Cecilia BRIGHI -Dipartimento Internazionale CISL
Fonte: Articolo21.info

18 maggio 2009

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BIRMANIA, LEVI MONTALCINI: "LIBERATE AUNG SAN SUU KYI"
dichiarazione del Premio nobel e senatrice a vita Rita Levi Montalcini

Nel giorno in cui si apre il processo alla leader dell'opposizione birmana e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, accusata di aver violato gli arresti domiciliari ricevendo un cittadino statunitense, il premio Nobel e senatrice a vita Rita Levi Montalcini chiede la sua liberazione: "Sono preoccupata per le condizioni di salute di Aung San Suu Kyi che, dalle scarse notizie che ci giungono, si stanno aggravando. La reclusione in cella avvenuta pochi giorni fa dopo la lunghissima prigionia in casa, cui il governo del suo Paese la costringe da 13 anni, è un ulteriore rischio per la salute del Premio Nobel birmano".

"Nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani, Aung San Suu Kyi deve essere liberata subito e ricevere le urgenti cure necessarie. Mi auguro che l'appello avanzato a livello parlamentare, italiano ed europeo, per la liberazione di Aung San Suu Kyi sia accolto dal governo di Yangon. Con questo atto oggi il  Myanmar potrebbe aprire le porte al dialogo per una auspicata riconciliazione nazionale".

Roma, 18 maggio 2009

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