Il prezzo che i palestinesi devono pagare!


Michele Giorgio


Si moltiplicano i raid dei coloni israeliani nei villaggi palestinesi. L’ultimo di una lunga serie di attacchi notturni contro auto e case palestinesi è avvenuto ad Al Jib, vicino Gerusalemme. Ma i responsabili raramente finiscono in manette.


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Graffitti reading "Goyim, leave. Go back to Ethiopia" seen spray-painted on the Ethiopian church in Jerusalem. "Goyim" reffering to non-Jews. April 19, 2013. Photo by Gershon ELinson/FLASH90 *** Local Caption *** âøôéèé
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Sono atti di odio razziale ma da queste parti parlano di “vandalismo” e i media occidentali si adeguano alla definizione le rare volte in cui prendono in considerazione queste notizie. Come se la scritta «Arabi? Espellili o uccidili!», lasciata l’altra notte su un edificio del villaggio palestinese di al Jib, alle porte di Gerusalemme, fosse simile per gravità al gesto di un adolescente annoiato che riga la fiancata di un’auto. Intanto queste azioni compiute da estremisti di destra israeliani si sono fatte più gravi e insidiose.

Soprattutto in queste ultime settimane, sebbene in totale (256) siano in calo rispetto all’anno scorso (378). L’area presa di mira di recente è quella a nord-ovest della Gerusalemme palestinese.

Ma il «price-tag», il «prezzo» che i palestinesi devono pagare secondo gli autori dei raid notturni, si registra di frequente anche in Cisgiordania e nei centri abitati arabi in Galilea, in territorio israeliano. Ogni volta la polizia afferma di aver avviato un’indagine e varie autorità condannano l’accaduto. Poi non accade nulla e cala il silenzio fino alla prossima scorribanda. I centri per i diritti umani, anche israeliani, denunciano che i responsabili degli attacchi dopo l’arresto raramente sono portati in giudizio.

Ad al Jib sono state danneggiate 18 auto palestinesi. Altre 160 hanno subito la stessa sorte qualche giorno fa nel quartiere di Shuafat a Gerusalemme Est. Venti macchine sono state colpite nel villaggio arabo di Manshiya Zabda, in Israele, e i responsabili del blitz notturno hanno lasciato ovunque disegni e scritte contro gli arabi e l’Islam. Lo stesso è avvenuto a novembre a Jaljulia (40 macchine danneggiate) e a Deir Ammar (cinque auto). In precedenza hanno subito raid Yatma, Qabalan, Beit Dajan, Majdal Bani Fadil e al Dik.

Anche i palestinesi cristiani sono nel mirino. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Taybe, ad est di Ramallah. Il villaggio qualche settimana fa è stato dichiarato dagli estremisti israeliani “area militare chiusa Kumi Ori”. Si è trattato di un’azione di appoggio alla protesta (violenta) dei coloni di Yitzhar, uno degli insediamenti israeliani più ideologici, contro l’esercito che aveva proclamato zona chiusa l’avamposto coloniale di Kumi Ori. Gli abitanti di Yitzhar, che non esitano ad attaccare anche i soldati, sono accusati di aggressioni agli agricoltori palestinesi che, a loro giudizio, non si tengono a distanza dalla colonia quando vanno a coltivare i campi.

La situazione attuale ricorda il periodo precedente alla scorribanda omicida dell’estate del 2015 a danno della casa della famiglia palestinese Dawabsha, nel villaggio di Duma, nei pressi di Nablus. Nell’attacco con bottiglie incendiarie rimasero uccisi due genitori e il loro bambino, Ali, di pochi mesi. In vita è rimasto solo il secondo figlio, Ahmad, 11 anni, che porterà per sempre sul corpo i segni di ustioni gravissime. I presunti responsabili sono stati arrestati e sono sotto processo già da tre anni ma le notizie sull’andamento delle udienze sono molto scarse.

Michele Giorgio

20 dicembre 2019

Nena News

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