Perche’ il Kenya sì e i Nuba no?


Padre Renato Kizito Sesana


All’inizio della crisi keniana, Koinonia ha attivato un gruppo che ha la responsabilità di raccogliere documentazione, foto, video. I componenti del gruppo appartengono alle quattro comunità etniche che sono state aizzate l’uno contro l’altra. Da sinistra: Victor Shamwana, Ndugu Mdogo Video, Luhya; Cosmas Musyoka, The Big Issue Kenya, Kamba; Daudi Nganga, Koinonia, Kikuyu; Francis Owino, Ndugu Mdogo Video, Luo.


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Perche’ il Kenya sì e i Nuba no?

Il Gruppo Documentazione.

All’ inizio della crisi keniana, Koinonia ha attivato un gruppo che ha la responsabilita’ di raccogliere documentazione, foto, video. Come al solito, non abbiamo prestato nessuna attenzione alla composizione etnica del gruppo, solo dopo ci siamo accorti che appartengono alle quattro comunita’ etniche che sono state aizzate l’ uno contro l’ altra.

Chi volesse mandare un aiuto economico agli sfollati, segua le indicazioni del sito web di Africa Peace Point (http://www.africapeacepoint.org/).

Da sinistra: Victor Shamwana, Ndugu Mdogo Video, Luhya; Cosmas Musyoka, The Big Issue Kenya, Kamba; Daudi Nganga, Koinonia, Kikuyu; Francis Owino, Ndugu Mdogo Video, Luo.

 

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A Nairobi i negoziati continuano. Il progresso e’ lento, l’ opposizione ha annunciato nuove manifestazioni per la prossima settimana, ma intanto non si uccide.

Ne approfitto per qualche semplice considerazione sul perche’ di un intervento tanto rapido di quel misterioso animale che abbiamo preso l’ abitudine di chiamare “comunita’ internazionale”. Perche’ la “comunita’ internazionale” ha impiegato mesi e mesi prima di accorgersi cosa succedava in Darfur, ed ha lasciato che la situazine si incancrenisse prima di intervenire in quello che e’ diventato un genocidio? Perche’ la stessa comunita’ si e’ mossa per il Ruanda dopo tre mesi, per i Nuba dopo dieci anni e per la Repubblica Democratica del Congo dopo tre anni e due milioni (secondo le stime piu’ conservatrici) di morti? In confronto a queste situazioni l’ intervento e l’ azione di contenimento che si e’ attivato in Kenya e’ stato di una prontezza senza paragoni per una crisi africana. Perche’? Provo a fare un elenco, certamente incompleto e senza ordine d’ importanza.

La posizione geopolitica del Kenya ne fa un paese chiave per l’ Africa. Dall’ indipendenza e’ sempre stato un fedele alleato/dipendente di Gran Bretagna e USA. Per molti anni la “vetrina dell’ Occidente in Africa” e poi una base sicura per le multinazionali e per le operazioni militari e umanitarie – che molto spesso vanno insieme – nei paesi vicini. Il Kenya non possiede grandi risorse naturali, ma per oltre quarant’anni e’ stato un paese che, se pur sempre con problemi interni (per oltre due decenni governato dalla brutale dittatura di Daniel Arap Moi con il pieno supporto delle suddette potenze) e’ rimasto stabile ed ha giocato un ruolo chiave, dal logistico al politico, nelle crisi dei paesi vicini. L’ unico altro paese con cui il Kenya confina e che e’ rimasto stabile in questi quarant’ anni e’ la Tanzania, non molto simpatica all’ Occidente per le velleita’ di “socialismo africano”. Gli altri paesi confinanti Uganda, Sudan, Etiopia e Somalia, sono stati, e alcuni sono ancora, in preda a crisi gravissime. Altri paesi che gravitano dal punto di vista logistico ed economico sul Kenya sono oggi Rwanda, Burundi e l’ Est della Repubblica Democratica del Congo. E anche qui le crisi passate e presenti sono gravissime. Instabilita’ in Kenya vuol dire non poter intervenire e controllare tutta l’ area

Il Kenya e’ l’ unico paese del Terzo Mondo – usando ancora questo termime, per indicare quella che di fatto, lo vogliamo ammettere o no e’ la parte piu’ importante ed il futuro del mondo – che e’ sede di agenzie internazionali delle Nazioni Unite. Oltre all’ UNEP, che ha la sede principale a Naiorbi, gli uffici delle Nazioni Unite a Nairobi sono una realta’ importante che da’ lavoro a migliaia di persone da tutto il mondo e dal Kenya. Ne il governo del Kenya, ne gli impiegati delle Nazioni Unite deisiderano che le Nazioni Unite se ne vadano altrove, anche se Nairobi e’ considerata “sede disagiata’, il che vuol dire un bonus addizzionale per i dipendenti – che possono essere incontrati ogni sera, in caso non fossero disponbili nei loro uffici durane il giorno, nei piu’ costosi locali della citta .

L’ Unione Africana sta disperatamente cercando credibilita’. In questi giorni a Nairobi abbiamo visto oltre a Kufour, Presidednte del Ghana e dell’ Unione Africana, altri quattro venerandi capi di stato, fra i pochissimi ex capi di stato africani che non sono morti, non sono in esilio, non sono in prigione o sotto processo. Si prevede anche un’ apparizione di Koffi Annan. L’ unico vero grandissimo leader africano, e probabilmente uno dei piu’ grandi leade mondiali del secolo scorso, Nelson Mandela, e’ inabilitato dall’eta’. Anche se questa sfilata di ex-Presidenti e notabili contera’ poco o niente per risolvere i problemi del Kenya, e’ significativo che sgomitino per apparire sulla scena. La crisi Kenyana e’ una buona opportunita’ per farsi fotografare.

C’e’ una East African Community, che al momento comprende oltre al Kenya anche Uganda, Tanzania e da poco Ruanda e Burundi, ed e’ una vera, effettiva speranza per l’ inizio di un mercato comune africano. Questa crisi la sta rimettendo in discussione. I capi di stati dei paesi in questione cercano di tenere un atteggiamento diplomaticamente neutro, ma sono toccati in profondita’ dalla crisi. Non solo perche’ le loro economie stanno andando in tilt a conseguenza della crisi Keniana, ma anche perche’ la reazione della “comunita’ internazionale” puo’ essere un; indicazione di come la stessa comunita’ reagirebbe di fronte ad una simile crisi nel loro paese.

Un altro elemento di primaria importanza per come la crisi Keniana ha assunto rilevanza e’ il fatto che i maggiori mass media internazionali hanno a Nairobi una sede, spesso l’ unica o la piu’ attrezzata sede di tutta l’ Africa. Anche la maturita’, e i limiti, del giornalismo locale hanno giocato un ruolo importante. Fra i limiti e’ da segnalare che alcune radio locali, se ne avessero avuto l’ opportunita’, non avrebbero esitato ad una coperttura molto parziale dei fatti, col rischio di una “propaganda dell’ odio” simile a quella che e’ avvenuta a suo tempo in Ruanda. E che i mass media internzaionali e locali determino il modo in cui una crisi e’ percepita dalla popolazione locale e’ un fatto fuori discussione. E che necessita di approfondimento.

Anche la posizione della comunita’ islamica e delle chiese cristiane e’ un aspetto che dovrebbe essere analizzato piu’ a fondo. Ma indubbiamente e’ una delle ragioni dell’ attenzione degli osservatori piu’ attenti. Non bisogna infatti dimenticare il memorandum d’ intesa che Raila ha firmato con i capi della comunita’ islamica. Basti dire per il momento che certamente la posizione di entrambe le comunita’ religiose non e’ stata al di sopra delle parti, come hanno tentao di far credere, e che, prima delle elezioni, non hanno contribuito a creare un’ atmosfera distesa, anche se poi, doverosamente, sono state capaci di internvenire per richiamare alla nonviolenza e si sono attivate per l’ aiuto alle vittime senza alcuna distinzione.

Dal blog di Padre Renato Kizito Sesana

11 gennaio 2007

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